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Meena, massacrata dal marito. I giudici: «Una tragedia annunciata, anni di minacce e violenze»

Meena, massacrata dal marito. I giudici: «Una tragedia annunciata, anni di minacce e violenze»

di Georgia Azzali

02 Aprile 2025, 03:01

«Mi sono arrabbiato e ho continuato a colpirla». Almeno quattro volte in testa, con una mazza da cricket. Anche dopo che la moglie era a terra, un corpo inerme che non si muoveva più. Così Lal Onkar aveva ucciso Meena Kumari il 28 novembre 2023 nella casa di via Trento: è lui stesso, 68 anni, indiano, a raccontare quegli istanti di brutalità a una delle figlie durante un incontro in carcere, qualche mese dopo, che viene intercettato. Nuda e cruda cronaca, prima di aggiungere che avrebbe «pagato» per ciò che aveva fatto e che in via Burla stava bene: «Anche oggi farò palestra, ci sono dei corsi e diverse cose da fare», aveva aggiunto. Cronaca di un omicidio spietato, ma anche una «tragedia annunciata», sottolinea la Corte d'assise, presieduta da Paola Artusi, nelle motivazioni, depositate nei giorni scorsi, della sentenza che il 27 gennaio scorso ha fatto finire Onkar all'ergastolo.

Eppure, tutto maledettamente prevedibile. Perché umiliazioni e percosse sarebbero cominciate già nel 1997, ma Meena, 67 anni, aveva sempre tentato di minimizzare, chiusa in un riserbo assoluto. Solo nel giugno del 2021, dopo che lui le aveva messo le mani al collo, aveva chiamato i carabinieri facendo denuncia, ma poi aveva cercato di ridimensionare tutte le violenze subite anche nel passato. Erano stati i figli, dopo l'omicidio, a fare luce sull'abisso di tutti quegli anni: il padre che aveva minacciato la madre con un'ascia, che aveva tentato di dare fuoco alla casa mentre lei era all'interno, mentre un'altra volta l'aveva fatta precipitare dalle scale. «L'imputato ha posto in essere atteggiamenti violenti, aggressivi, vessatori, denigratori e minacciosi che hanno inciso sullo stato fisico e psicologico della persona offesa - scrivono i giudici - e che, ripetuti nel tempo, hanno realizzato un regime di vita avvilente e mortificante per la stessa e determinato un contesto, anche per i familiari, estremamente sofferente».

E' così che la Corte ha avallato l'aggravante (da ergastolo) legata ai maltrattamenti ritenendola anche prevalente rispetto alle attenuanti generiche, che sono state riconosciute a Onkar per il parziale risarcimento del danno (la casa di famiglia trasferita al figlio maschio) e per aver acconsentito all'acquisizione di gran parte degli atti delle indagini preliminari.

Ma Onkar doveva fare i conti anche con l'aggravante del rapporto coniugale, ovviamente riconosciuta, oltre che con quella dei futili motivi, entrambe da ergastolo. E il movente della lite e dell'aggressione di quel giorno è straordinariamente banale: alcune piantine, sistemate all'esterno, che Meena aveva portato in cucina. «Nel caso in esame è del tutto evidente - scrivono i giudici - la sproporzione tra il motivo che ha determinato l'azione violenta dell'imputato e la gravità del reato, così che il primo deve ritenersi un mero pretesto che ha innescato una serie di azioni violente ripetute che hanno determinato la morte della vittima».

Nessun dubbio, poi, secondo la Corte, che da parte di Onkar ci fosse la volontà di uccidere, anche se lui ha sempre negato di aver voluto ammazzare la moglie. Eppure, le due consulenze medico-legali affidate dalla procura, pur stabilendo entrambe che la morte era stata dovuta alla rottura dell'aorta, erano arrivate a conclusioni differenti su ciò che avrebbe causato la lacerazione: secondo Donatella Fedeli e Michele Cavallo, l'aorta si era spaccata dopo che Meena era stata spinta con violenza a terra da Onkar, mentre per Cristina Cattaneo e Lorenzo Franceschetti era stato un trauma del torace, dovuto a un colpo sferrato da un oggetto compatibile con la mazza da cricket, a provocare l'emorragia fatale. I giudici condividono le argomentazioni di Cattaneo e Franceschetti, ma sottolineano: «Tuttavia, anche a voler dare credito alla diversa ricostruzione dei consulenti Fedeli e Cavallo, dovrebbe comunque giungersi alla conclusione che la morte della Kumari è stata causata dalla condotta violenta realizzata da Onkar, e cioè dalla violentissima spinta che ha determinato la traumatica caduta a terra della moglie, la rottura dell'aorta e la morte».

Ergastolo, quindi. Che la difesa cercherà almeno di scalfire in appello. Quel giorno, prima della sentenza, Onkar aveva chiesto scusa: «Ho sbagliato, era la prima volta che succedeva», aveva sussurrato. Ma per quasi trent'anni Meena avrebbe subito. Una lenta, straziante agonia.

Georgia Azzali

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