Direttore d'orchestra
Rivedere a Parma Francesco Lanzillotta manda indietro le pagine del calendario. Lo si ricorda quando, poco più che trentenne, capelli lunghi e scuri, arrivò da Roma, chiamato da Rosetta Cucchi come direttore principale della Toscanini... «Sono passati quasi 12 anni, adesso i capelli sono corti e grigi», replica sorridendo a chi glielo fa notare.
Più di recente, lo si ricorda al Festival Verdi 2023, costretto a dirigere in sedia a rotelle «I Lombardi alla prima crociata», dopo un grave incidente in moto. Ora eccolo di nuovo in città, sul podio dell’Orchestra Filarmonica Italiana e del Coro del Teatro Regio, per le prove di «Andrea Chénier», l'opera di Umberto Giordano al debutto sabato 3 maggio alle 20.
Maestro, partiamo dallo stile verista di quest'opera, dal punto di vista musicale, con quello che ne consegue. Come è il suo approccio?
«Parliamo di una partitura con mille sfaccettature diverse. Questo è chiaramente voluto da Giordano e lo scopriamo da subito in quanto è una partitura in cui le situazioni cambiano in maniera repentina. Giordano costruisce tutto il tessuto orchestrale seguendo la veloce evoluzione degli eventi; questo fa sì che l'orchestra sia costantemente cangiante. Quindi l'orchestra è, come dire, il quarto protagonista dell'opera; non è mai semplice accompagnamento. L'approccio deve far sì che il tessuto orchestrale possa avere la stessa dignità e la stessa importanza che hanno i tre protagonisti della storia, Andrea Chénier, Carlo Gérard e Maddalena di Coigny».
Quando comincia a studiare un'opera, da dove inizia, dalla lettura al pianoforte o altro? Cosa la guida?
«Ho già diretto “Andrea Chénier” a Vienna, due anni fa. Di certo l'approccio pianistico c'è sempre. Però direi che lo studio essenziale è quello che ha l'approccio da compositore. Mi spiego. Serve lo sguardo di chi conosce la composizione, non perché bisogna saper scrivere una fuga o un contrappunto per fare il direttore d'orchestra, ma perché, nel momento in cui si vuole capire, per esempio, lo sviluppo dell'armonia all'interno di un fraseggio, se non c'è una conoscenza approfondita della composizione, difficilmente si può comprendere. E questo è uno dei motivi per cui, anni fa, per diplomarsi in direzione d'orchestra era obbligatorio al Conservatorio almeno avere il settimo di composizione».
Ha detto che qui l'orchestra è di fatto la quarta voce. Il cast al Regio presenta voci importanti nei tre ruoli principali: Gregory Kunde (Chénier), Luca Salsi (Gérard) e Saioa Hernandez (Maddalena di Coigny). E tutti e tre hanno dei momenti solistici importanti da «Un dì all'azzurro spazio» a «Nemico della patria?» a «La mamma morta». Questo semplifica o complica la vita al direttore?
«Con i grandi artisti, il lavoro è sempre più facile: è una cosa che ho imparato subito, quando iniziai a dirigere il repertorio operistico. Il grande artista, anche nel momento di imprevedibilità - cosa che nell'opera succede costantemente - è un grande. Consideriamo quante migliaia di variabili ci sono all'interno di un'esecuzione. Queste variabili sono dettate da tantissimi fattori e può succedere che un cantante faccia una cosa diversa da quella che ha fatto il giorno prima. Ma quando si tratta di grandi artisti, qualsiasi cosa il cantante faccia è una cosa che ha una ragione musicale ed è facilissimo assecondare una scelta musicale diversa che, però, artisticamente ha valore. Questa è la meraviglia che succede quando ci si ritrova in buca a dirigere grandi artisti, perché l'imprevedibilità, nel momento in cui tu l'accetti, ti può regalare momenti magici».
Lei ha una relazione lunga con il pubblico di Parma. Un ricordo particolare?
«Non ho mai fatto mistero che venire a Parma significa ritrovarmi tra gli affetti perché Parma mi ha accolto giovanissimo, quando diventai direttore principale della Toscanini. Ricordo ancora quando arrivò la prima chiamata da Rosetta Cucchi, prima ancora della nomina di direttore principale: una domenica mi chiese di venire a Parma il martedì a sostituire Abbado che non poteva dirigere un concerto... studiai l'intero programma il lunedì, un vortice di emozioni, un ricordo indelebile. Poi per me è impossibile scordare il gesto che il Teatro Regio ha fatto due anni fa, quando appunto ebbi quel pauroso incidente, e la dirigenza decise comunque di farmi dirigere con la sedia a rotelle e il collare, modificando addirittura la struttura d'entrata. In quel periodo post-trauma, ho vissuto momenti molto difficili a livello personale: poter ricominciare subito a lavorare, soprattutto con la musica di Verdi, è stata veramente la mia salvezza».
Mara Pedrabissi
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