Intervista
Se Gene Gnocchi vi dice che questo sarà l’ultimo spettacolo, non credetegli. Il suo «Una crepa nel crepuscolo», atteso giovedì 19 ore 21 all’Arena Shakespeare di Fondazione Teatro Due, è un coming out dopo quarant’anni di carriera artistica. Ma c’è da scommettere che non sarà una cosa seria. Il Gene nazionale, attore e cabarettista fidentino con un trascorso da calciatore, racconta qui la breccia dell’ironia nella sua vita.
Una curiosità: la terminologia giuridica che si nota durante lo spettacolo proviene dalla sua formazione di avvocato?
«Beh certo. Soprattutto dalla filosofia del diritto, in cui mi sono laureato alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Parma con il grande professor Lanfranco Mossini, allora presidente del Tribunale».
Riusciva a dare gli esami senza fare battute?
«Dovevo stare serio perché c’erano professori, come Cerino Canova, che forse apprezzavano la comicità, ma non a lezione. Comunque sono stati anni bellissimi. Ho fatto anche pratica a Parma con l’avvocato Bordi, in via Farini. Ero legato in tutti i modi alla città. Poi con l’avvocato Stefano Galli abbiamo messo su un ufficio legale. Fu proprio lui, forse per liberarsi di me come collega, ad accompagnarmi al locale Zelig a Milano, perché riteneva avessi le qualità per far ridere. In effetti da lì è nato tutto».
Gli inizi della carriera come furono?
«All’Arci, con le feste dell’Unità. Le prime seratine le ho fatte a Parma».
Recitare all’Arena Shakespeare sarà tornare nei pressi di quella sede.
«Praticamente sì! Sono venuto spesso a lavorare a Teatro Due, ma mai fino ad ora nella meravigliosa Arena Shakespeare. Sono contentissimo di fare questa data. Con Paola Donati ho un bellissimo rapporto. Poi troverò amici che non vedo da un po’».
Nel titolo si parla di crepuscolo. Mi dica che non sarà l’ultimo spettacolo.
«Speriamo di no. Ma ormai l’età avanza. Questo qui, in effetti, mi sta dando veramente soddisfazione, come il bel riscontro di pubblico al Franco Parenti a Milano».
Qui fa po’ una summa di quarant’anni di carriera, svelando anche segreti inediti di protagonisti del suo mondo.
«Parlo anche di modi di fare degli anni Ottanta. Protagonista è il cambiamento, punteggiato da personaggi fondamentali nella nostra storia. C’è Milena Gabanelli, c’è Giovanni Muciaccia».
Cosa può aver combinato Giovanni Muciaccia della mitica trasmissione per bambini Art Attack?
«È in carcere. Durante una puntata di Art Attack doveva costruire una casa usando i bastoncini dei ghiaccioli e aveva costretto un bambino a mangiare undicimila ghiaccioli. Sono tutte storie così, un po’ alla mia maniera, che centrano il personaggio in un modo inconsueto».
Come il plastico di Bruno Vespa.
«Adesso l’ha dovuto allargare, per fare spazio a Garlasco con le sorelle Cappa. Uno spettacolo deve fare i conti con la realtà. Il plastico ormai è un condominio: al primo piano i Franzoni, al secondo i Misseri, al terzo Olindo e Rosa, al quarto c’era Donato Bilancia ma ora ci stanno Erika e Omar. Però andrà fatto un soppalco in più per Stasi e Sempio».
Anche i selfie sono tra le novità che trova urticanti?
«Stanno diventando un problema. Non ti puoi sottrarre e il selfie deve venire come vuole chi te lo chiede: sorridente, con gli occhi aperti. A volte ti tocca anche scattarli. Allora a questo punto andiamo direttamente da un fotografo professionista».
Altro rebus è la recente denominazione di stand up comedy per spettacoli del suo genere.
«Quella è proprio una cosa che non capisco. Io ho sempre fatto la stessa cosa, raccontando storie su un palco e cercando di far ridere il pubblico. Ma adesso se non sei stand up comedy non sei à la page».
Quanto conta la musica in «Una crepa nel crepuscolo»?
«Stavolta tanto. Diego Cassani, sul palco con me, è un chitarrista bravissimo, tecnicamente un fenomeno. Abbiamo voluto mettere tanta musica in modo divertente».
Quanto è affezionato alla Gazzetta di Parma?
«Quando giocavo a pallone, per prima cosa andavo a vedere cosa dicevano di me. C’era il povero Castaldini che scriveva per il Fidenza. Resta un punto di riferimento: me la faccio mandare a Faenza dai miei fratelli. Come fai senza la Gazzetta?».
A proposito dei suoi fratelli, tra cui Charlie: immagino una casa dove l’ironia fosse regina.
«Più che altro serpeggiava una vena di follia. Mio padre, con sei figli e una moglie, come auto prese la Duetto, una due posti. Poi ad un certo punto ci siamo resi conto di quanto servisse l’ironia per stare al mondo».
Claudia Olimpia Rossi
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata