Intervista
Domani alle 21.30 in piazzale San Francesco a Parma (ingresso libero) si esibirà, nella seconda serata del Festival Toscanini, la Big Band della Toscanini Academy. Il suo direttore, Beppe Di Benedetto, ha all'attivo un’importante attività solistica e direttoriale in Italia e all’estero.
Come si è avvicinato al mondo della Big Band?
«Sono trombonista e ho avuto il mio “battesimo del fuoco” a vent’anni, a Brescello dove vivevo con i miei genitori: ho avuto la fortuna di entrare nella Big Band di Carlo Gelmini, primo trombone della Toscanini fino a poco tempo fa. Erano chiamati dei grandi nomi come Tullio De Piscopo, Fabrizio Bosso, Christian Meyer. La Big Band ha attraversato tutta la mia carriera. Sono stato direttore e arrangiatore in un’altra Big Band dal 2000 al 2010. Ho suonato come primo trombone solista in tanti gruppi, sia in Italia, sia in Europa. A Parma ho investito in laboratori di Big Band da circa dieci anni, con la mia associazione».
In cosa un direttore di Big Band è diverso da un direttore d’orchestra?
«Non c’è tutta la tradizione gestuale del mondo della musica classica ma ci sono dei gesti completamente diversi che bisogna conoscere: c’è tutto uno studio del movimento del corpo. Per tutto quello che riguarda la prassi esecutiva, la lettura delle partiture e tutti gli aspetti filologici legati al periodo storico della musica che si deve suonare, se si vogliono fare le cose per bene, non cambia nulla rispetto all’approccio alla musica classica. Per questa professione, in Italia, non ci sono studi accademici: non c’è un percorso riconosciuto per diventare direttore di Big Band, anche se ci sono corsi e seminari. Da questo punto di vista è l’esperienza quella che conta, oltre allo studio: esistono studi specifici sul gesto, sul movimento e sugli attacchi. La situazione è un po’ quella del jazz fino a pochi anni fa: fino a una ventina di anni fa non c’erano percorsi predefiniti. Forse non ci sono neanche adesso ma almeno ci sono le linee comuni del conservatorio».
Come è stato scelto il programma di domani sera?
«Abbiamo scelto questo repertorio pensando agli spettatori. Saremo in una piazza all’aperto e il pubblico sarà eterogeneo: non abbiamo pensato a un tema o un autore in particolare, ma abbiamo cercato di attraversare circa ottant’anni di musica jazz, da brani eseguiti per la prima volta nel 1938 ad altri composti nel 2022, brani che vengono dagli Stati Uniti e altri dall’Italia. Abbiamo voluto rappresentare quella che è la musica in generale all’interno di questo ampio periodo. Ci saranno composizioni di Glenn Miller, di Benny Goodman, Duke Ellington, Quincy Jones, Bob Mintzer, ma ci sarà anche una mia composizione originale. Voglio lasciare, però, anche un po’ di sorprese per il pubblico».
In cosa consiste il suo ruolo all’interno della Toscanini Academy?
«Il focus è quello di accompagnare il giovane musicista nell’ultimo tratto di professionalizzazione, realmente necessario allo svolgimento della professione. In questo caso sono il coordinatore della parte di Big Band e il suo direttore. L’academy prende i giovani professionisti, alcuni dei quali sono già in carriera, fornisce loro le competenze richieste dal mercato, mettendole già in pratica nei concerti distribuiti in tutta l’Emilia-Romagna».
Cosa riserva il futuro?
«Questo è soltanto l’inizio: i primi incontri sono stati a fine marzo, ma abbiamo già tante idee da sviluppare e da mettere in pratica nei prossimi anni. Ci sono bellissime prospettive per un sogno che si è realizzato».
Giulio A. Bocchi
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