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Madre coraggio

Sara: «Sola contro tutti con il mio bambino»

Sara: «Sola contro tutti con il mio bambino»

di Roberto Longoni

09 Luglio 2025, 03:01

Il primo a parlarne fu lui, e senza mezzi termini, quasi gli mancasse la terra sotto i piedi. «Se non vuoi darmi un figlio, è perché non mi ami abbastanza» sembra aver detto alla giovane con la quale da poco conviveva. La fidanzata (la chiameremo Sara, con un nome di fantasia) tentennava più che altro per la situazione economica definita a metà (solo il compagno aveva un posto fisso, mentre lei fino a quel punto non faceva che passare da un lavoro a tempo determinato all’altro, e fisso era solo il magro stipendio). «Avevo quasi trent’anni, lui mi fece sentire sbagliata…». Messa alle strette, la ragazza si fece convincere. Tempo quattro mesi, e il bimbo fu concepito. Ancora non lo sapeva con certezza la futura madre, la sera in cui ebbe un banalissimo diverbio con il partner. Era già avvenuto altre volte, con lui che se ne usciva sbattendo la porta, per far sbollire la propria rabbia e quella di lei nella casa materna, per poi tornare. In questa occasione, però, non fece più marcia indietro, nemmeno quando fu lei a chiamarlo, per annunciargli l’arrivo dell'agognato bimbo.

All’improvviso, all’aspirante padre non gliene importava più. Sara rimase sola, con l’amarezza che cresceva con il pancione. E sola è rimasta, ora che il bimbo ha quattro anni e chiama il giovane nonno «papà», confuso quando la madre gli fa presente che in realtà è il papà suo. Dall’altro, da quello naturale, o sarebbe meglio dire biologico, non è mai stato preso in braccio. Anzi, non è nemmeno mai stato visto.

Della vicenda si conosce solo la versione della mamma. Possono variare i punti di vista, certo, ma in questa storia ci sono passaggi la cui interpretazione appare chiara. Innanzitutto, i quattro anni trascorsi senza che per il bambino fosse corrisposto un centesimo. «Anzi - dice la mamma – oltre a tutte le spese per il suo mantenimento, ho dovuto sborsare quasi diecimila euro per la battaglia legale che sto tuttora affrontando. Se non ci fossero stati i miei, non so come avrei fatto, anche se ho finalmente trovato un lavoro fisso sette mesi dopo la nascita del mio piccolo». Dov’è, in questo caso, la tanto sbandierata difesa della donna e della sua libertà di scelta? si chiedono Sara e la sua famiglia. «Quando finalmente riuscii a dirgli che aspettavamo un bambino – ricorda lei – lui mi rispose: “O abortisci o non mi vedi più”. Di fronte a quell’aut-aut, non ebbi dubbi: non potevo essere costretta ad abortire». Un padre recalcitrante lo può anche fare, in un certo senso: può dire che non sarà presente, di non sentirsi all’altezza del compito, ma da qui a sostenere che non c’entra proprio nulla, che non si riconosce per niente in obbligo, ce ne corre. Tra i due quasi trentenni che si erano frequentati per un anno e mezzo e avevano convissuto una settimana, non ci sarebbero più state parole d’intesa.

«Mi sono dovuta difendere - prosegue Sara -. Dopo averlo cercato invano, all’inizio, il mio contatto fu bloccato da lui. E poco dopo ricevetti una lettera di diffida, con la quale il suo avvocato minacciava di denunciarmi per stalking. Era un 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne... Seguirono altre lettere, nelle quali lui negava che potessi procreare». A un certo punto, significava negare l’evidenza. E così Sara venne descritta come una poco di buono, incapace di trovare un lavoro. «Il mio ex s’inventò perfino di essersene andato dopo avere scoperto che facevo uso di cocaina». Per questo aggiunse di pretendere, se fosse stato lui il padre, l’affidamento esclusivo del bimbo. Il test, al quale Sara si sottopose di propria iniziativa («e che mi costò altri 700 euro» ricorda), dimostrò la falsità della storia della droga. La giovane querelò la controparte, ma la denuncia venne archiviata, perché l’accusa, per quanto strampalata, era considerata parte del contendere.

Ma c’era quel «se» pesante come un macigno. Sara dovette difendersi ancora da chi sosteneva che lei frequentasse altri uomini e che il bimbo fosse di uno di loro. Fu il giudice, a questo punto, a imporre il test del Dna. Emerse ciò che lei aveva sempre sostenuto: il padre del bambino non poteva che essere il suo ex. In genere, si risolvono i gialli, con questa prova. Ma qui, almeno per ora, no. «A questo punto – prosegue la giovane – lui disse di non volerne sapere di essere padre».

Così, a inizio anno il giudice ha stabilito di incaricare un perito per verificare i redditi dei genitori, le condizioni del bambino e i motivi della contrarietà del padre di assumersi le proprie responsabilità. L’incarico sarà affidato nella prossima udienza, in settembre. «Quando avrò cresciuto il mio bambino per quattro anni, senza alcun aiuto se non quello della mia famiglia – dice Sara –. Non pensavo di potermi sentire così sola».

Roberto Longoni

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