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La tragedia in Val di Fiemme

Quarant'anni fa un inferno di fango soffocò Stava: morirono anche due parmigiani

Quarant'anni fa un inferno di fango soffocò Stava: morirono anche due parmigiani

di Anna Pinazzi

19 Luglio 2025, 03:01

L' «Inferno del Trentino». Così la Gazzetta di Parma, 40 anni fa, definiva la tragedia che colpì il comune di Stava: un mare di fango seppellì alberghi, case e persone, tra cui due parmigiani, Giuseppe Cervi e suo figlio Davide, appena 15enne. Era il 19 luglio 1985.

In quelle pagine un po' ingiallite dal tempo - che al tempo, però, sopravvivono diventando memoria - viene rubricato il dolore e l'angoscia di quei giorni. Un «venerdì maledetto», come scrisse la «Gazzetta»: quel giorno alle 12,22 cede l’arginatura del bacino superiore di una miniera, che crolla sul bacino inferiore, il quale a sua volta crolla. La massa di fango scende a valle alla velocità di quasi 90 chilometri orari e spazza via qualsiasi cosa fino a raggiungere la confluenza fra il rio Stava e il torrente Avisio. Una dinamica ricostruita dai giornali scatto dopo scatto, testimonianza dopo testimonianza.

Le foto in bianco e nero nelle pagine della «Gazzetta» dell'epoca sono spiazzanti e riassumono in uno sguardo quella tragedia: «Vista dall'elicottero sembra la superficie di un altro pianeta», titolava in prima pagina il nostro quotidiano il 21 luglio di quell'anno. Riprendendo le prime righe dell'articolo scritto da Dino Tonon, che proseguiva, poco più in basso, così: «Un pianeta arido, morto. Dove c'erano case ed alberghi ora si vede solo una distesa brunastra, resa ancora più desolata dal grigiore del cielo», scriveva per dare l'idea della devastazione di quell'area rasa al suolo.

In quell'inferno di fango, in cui persero la vita 268 persone, si scoprì che c'erano anche due parmigiani: Giuseppe Cervi (44 anni), impiegato contabile della Banca commerciale, storico collaboratore della «Gazzetta» e suo figlio Davide, che all'epoca aveva appena 15 anni. Erano andati lì in vacanza per trascorrere qualche giorno all'hotel Erica, uno dei tre alberghi rasi al suolo dalla valanga di acqua e fango.

Nelle prime ore, Giuseppe e Davide erano considerati dispersi, «scomparsi nell'inferno del Trentino». Il giorno successivo, il nostro quotidiano diede la notizia: «Identificate dai familiari le salme dei due parmigiani sommersi nel fango». Poco più in basso, la fotografia di Angiolina Chierici, la mamma di Giuseppe Cervi, con la consuocera e Marisa Silva, la mamma di Davide, giunte a Stava per riconoscere le salme. La speranza si è trasformata in dolore: «Da salvare non c'era più niente», nonostante i 18mila uomini tra militari, volontari e vigili del fuoco, avessero lavorato ininterrottamente, scavando anche a mani nude.

È il 23 luglio 1985. La chiesa di Collecchio apre le sue porte a due bare di legno. Vicine, una accanto all'altra, con due grandi mazzi di fiori appoggiati sopra. Le foto stampate sulla pagina parlano ancora. Raccontano il dolore della famiglia e della comunità intera. «Parla» anche il titolo: secco, su una riga sola, ma carico di commozione e affetto insieme: «Giuseppe e Davide sono “ritornati”». Diventando così una presenza indelebile per la nostra città. Una ferita aperta comune. Indimenticabile. Anche oggi, dopo 40 anni.

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