Intervista all'ex presidente
Per anni è stata sotto i riflettori della procura e della stampa. Per anni è continuata a circolare la foto dell'ingresso di Parma gestione entrate, la società di riscossione del Comune, presidiato dalla Guardia di finanza. Sembra passato un secolo: la società è stata chiusa nel 2023, anche a seguito del clamore delle indagini, mentre a fine maggio i protagonisti della vicenda sono stati tutti prosciolti. «Sono sempre stato sereno, anche durante il processo, perché sapevo di aver lavorato al massimo delle mie possibilità per garantire il meglio alla società. Ma alla fine, a causa dell'inchiesta, tutto il lavoro fatto è stato gettato nel pattume. A parte il discorso del risparmio dei costi». Enrico Tosi è l'ex presidente di Pge - «assolto perché il fatto non sussiste» puntualizza - dall'accusa di appropriazione indebita, falso in atto pubblico e usura. Tosi, insieme ai suoi avvocati bolognesi, Giacomo Menni ed Elisa Lupi, hanno smontato l'impianto accusatorio, udienza dopo udienza, fino ad arrivare alla sentenza di assoluzione, pronunciata il 22 maggio dal giudice Giuseppe Saponiero. Ma per arrivare alla parola fine, l'ex presidente di Pge ha vissuto un calvario.
«Quattro anni di indagini, 110mila pagine di documentazione, oltre 150 ore di intercettazioni telefoniche e l'interrogatorio di tutti i messi notificatori che negli ultimi dieci anni circa hanno lavorato per la Docmail (società a cui la partecipata aveva affidato le notifiche degli atti, ndr)», ricostruisce Tosi, ingegnere elettronico e analista, per 35 anni di base a Milano dove ha lavorato nel settore della finanza. «Mi piace scrivere software, mi diverto quando c'è matematica pesante. Ora sto provando a ripartire con la mia azienda. Voglio proporre una piattaforma informatica dedicata alla finanza», racconta con estrema calma, «non porto nessun rancore per quello che mi è successo», parlando da una delle sale affrescate della sua villa seicentesca a Panocchia.
Tosi era stato chiamato dall'allora assessore al Bilancio, Marco Ferretti, a guidare Pge, una società finita nell'occhio del ciclone, per le accuse mosse dal Movimento Nuovi Consumatori in merito alle presunte false notifiche. Accuse che poi si sono sciolte come neve al sole. Ma per sciogliersi sono serviti dieci anni. Infatti, dal 2015 l'attenzione degli inquirenti si era rivolta alla gestione di Pge, mentre Tosi era stato nominato a fine luglio 2016: un periodo caldo in tutti i sensi. Passato qualche mese, sotto il peso dell'inchiesta l'ex presidente aveva mollato. «Avevo capito che gli attacchi non erano contro di me, ma contro la parte politica. Volevano colpire il Comune e l'assessore Ferretti. Ho preferito dimettermi io. 900 euro al mese, per un impegno di otto ore al giorno, cinque giorni la settimana, senza contare il lavoro che mi portavo a casa nel weekend. Lo facevo volentieri, perché volevo fare qualcosa di buono per la mia città».
E qualcosa di buono Tosi era riuscito a farlo. «In sei mesi, su un milione di costi, ero riuscito a realizzare un risparmio di oltre 200mila euro. Un risultato impensabile in un'azienda privata. Avevo preso una società che faceva 250mila euro di utili. Nel 2016 li avevo già portati a oltre 500mila euro. Le previsioni per il 2017 parlavano di un milione di utili. Avevo cercato di gestire la società come se fosse un'azienda a tutti gli effetti. Di cose che non andavano, in Pge, ce n'erano, ma non mi hanno dato il tempo di metterle a posto». Qualche riforma però era andata in porto: ad esempio, aveva ridotto i componenti del cda da 5 a 3, aveva tagliato le spese bancarie, l'abbonamento a internet (la società spendeva 1.500 euro a bimestre) e aveva rinegoziato i contratti della fornitura di energia, fermi da 7 anni. Risultato: un risparmio di 250mila euro l'anno. Grazie ad un sistema di bonus e incentivi aveva aumentato la produttività dei dipendenti, ne aveva licenziato uno e aveva avviato provvedimenti nei confronti di un altro «che lavorava in opposizione alla società» e aveva rivisto e migliorato le complesse procedure informatiche della società. «Ho anche riscritto parti del libro delle procedure, così da far ottenere a Pge la certificazione Iso 9001, senza l'incarico a un consulente esterno».
Ripensando ai giorni delle dimissioni e delle perquisizioni, l'ex presidente ammette: «La mia famiglia ha sofferto. Io invece mi arrabbiavo durante le udienze, perché sentivo una marea di falsità. Fin dall'inizio era chiaro che i reati contestati erano inesistenti. Per quattro anni il pm titolare dell'indagine non mi ha mai chiamato per darmi la possibilità di spiegare». Tosi afferma di essere sereno, ma la sua conclusione è amara: «Le indagini hanno dato credito ad un'associazione di consumatori, imboccata da dipendenti infedeli, spinta più da intenti politici che di giustizia sociale. La mia colpa come presidente di Pge? Per due anni dedicare, quasi gratuitamente, tempo e risorse alla società. Alla fine sono stato trattato come un delinquente».
Pierluigi Dallapina
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