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Il caso

La crisi idrica dell'Appennino, la direttrice di Montagna 2000: «Manutenzione difficile e costosa»

La crisi idrica dell'Appennino, la direttrice di Montagna 2000: «Manutenzione difficile e costosa»

di Monica Rossi

21 Agosto 2025, 03:01

È tempo di ferie, nell’Appennino parmense, con le seconde case affollate e i turisti in cerca di relax, meglio se al fresco e lontani dalle città che anche quest’anno – salvo poche eccezioni – sono state roventi.

Proprio nella settimana a cavallo di Ferragosto, in diversi comuni della provincia come Palanzano, Neviano, Valmozzola, i rubinetti si sono fermati: acqua a singhiozzo, serbatoi vuoti. Quasi all’unisono, dito puntato sulla rete idrica non di rado obsoleta e sovraccarica. Ma è solo questo il motivo dei disservizi? E cosa sta facendo Montagna 2000 Spa, gestore del servizio idrico integrato nel sub-ambito delle valli del Taro e del Ceno, per rimettere in sesto il sistema che spesso zoppica? Parliamo di 14 comuni, forti di circa 32mila abitanti con 24mila utenze idropotabili distribuite su oltre 1.400 chilometri quadrati per lo più collinari e montani, con una densità media di 13 abitanti per km di rete.

La direttrice di Montagna 2000 Spa Simona Ferrando fotografa il contesto e dichiara: «siamo di fronte a una bassissima densità abitativa e a un’eccezionale numerosità di impianti (sorgenti, captazioni, serbatoi, reti di adduzione e distribuzione) che rendono la gestione molto complessa». La rete conta oltre 2.000 chilometri di condotte, distribuita fra 100 metri e oltre 1000 metri s.l.m., con un’età media superiore ai 40 anni e tratti che superano addirittura gli 80 anni.

«Sul territorio si contano più di 860 impianti, oltre 750 tra sorgenti e pozzi e più di 300 acquedotti indipendenti, spesso al servizio di poche famiglie. Molti punti di captazione sono in zone impervie, talvolta senza elettricità né copertura cellulare e alcune raggiungibili solo dopo lunghi percorsi a piedi». A luglio e agosto, proprio quando le sorgenti producono meno, soprattutto dopo inverni poveri di piogge e neve, ecco che il consumo schizza in alto per l’arrivo di turisti e villeggianti. Gli acquedotti minori entrano così in sofferenza e il gestore si trova costretto a ricorrere alle autobotti: una misura che sì garantisce l’acqua, ma che poi risulta anche costosa e logisticamente complicata. Pesa inoltre la vulnerabilità geologica, con frane e smottamenti che, tra la primavera e l’estate, moltiplicano rotture e malfunzionamenti.

«La frammentazione del sistema - spiega ancora Ferrando - rende onerose le manutenzioni, soprattutto in emergenza. Dobbiamo ogni volta trovare il compromesso tra efficienza, tempi, vincoli logistici, costi di produzione e risorse disponibili». La crisi di Ferragosto non è quindi un incidente isolato: è la spia di una fragilità strutturale. Per affrontarla, il gestore indica alcune priorità su cui è già in corso un confronto con gli enti locali.

«Occorre mappare con precisione l’età delle condotte e lo stato delle reti, localizzare e tutelare le sorgenti più vulnerabili, riprogettare gli acquedotti più piccoli riducendo la frammentazione dove possibile, pianificare investimenti mirati su tratti vetusti e nodi critici, potenziare le scorte e le connessioni tra reti per gestire i picchi, migliorare accessi e alimentazioni elettriche degli impianti in quota e i sistemi di telecontrollo». Senza però un piano di rinnovo e una programmazione pluriennale che tenga insieme tecnica, logistica e finanza, la rete dell’Appennino parmense resterà purtroppo esposta: basteranno caldo, siccità o una frana di troppo per far tornare i rubinetti a secco o a singhiozzo. Con un dato, tuttavia, non negoziabile: acqua continua e di qualità sono servizi essenziali ovunque, a maggior ragione nei territori interni.

Monica Rossi

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