Parlano gli investigatori
Dura lex, sed lex. E dura la legge può essere anche non per i condannati, ma per le vittime dei loro reati: per loro il tempo altrui scorre velocissimo, nonostante il proprio sia fermo al giorno che le farà sanguinare per sempre. Vent’anni di carcere erano stati inflitti a Salvatore Raimondi e tanti il complice di Mario Alessi e di Antonella Conserva nel tragico sequestro di Tommaso Onofri ne ha trascorsi in cella (al lordo degli immancabili sconti di pena e della condanna a tre anni e mezzo per estorsione ai danni di un altro carcerato): tutt’al più, si sarebbe potuto eccepire sulla sentenza, ma c'è poco da obiettare sulla sua applicazione. «Questa è la legge e bisogna rispettarla – sottolinea il generale Luciano Garofano, allora comandante del Ris che individuò il Dna di Raimondi sul nastro isolante con il quale erano stati legati gli Onofri -. Anche se per un dolore così profondo non può esserci perdono da parte della famiglia». Un quinto di secolo ora sembra poco. E per chi ha il calendario immobile su marzo/aprile del 2006 è niente. Tra questi non c’è solo Paola Pellinghelli, mamma del piccolo Tommy, ma anche gli inquirenti che cercarono di riportare a casa un bimbo di diciotto mesi in realtà ucciso da Alessi subito dopo il rapimento.
«Da essere umano sapere Raimondi di nuovo libero mi lascia l’amaro in bocca – dice Pietro Errede, pm titolare del caso con i colleghi della Dda Lucia Musti e Silverio Piro -. Certo, se parlo da tecnico, ritengo che la scarcerazione sia un atto dovuto: Raimondi ha espiato la pena, dopo aver rispettato le regole della detenzione. Inoltre, la riabilitazione è prevista dalla nostra Costituzione… Ma capisco lo stato d’animo della mamma di Tommy: al rapitore viene resa la libertà, a lei il figlio non potrà mai essere restituito… A Paola Pellinghelli dico di stare tranquilla e continuare a guardare oltre e, da cristiano, suggerisco di confidare nella giustizia divina».
Due marzo-primo aprile 2006: tutti uscirono cambiati dal mese terribile nell’annus horribilis di Parma. Errede, che raccolse la confessione di Alessi, forse più d’altri. «Quell’indagine fu tra i motivi che mi portarono a lasciare la magistratura inquirente – ricorda l’ex pm, che ancora nutre dubbi sull’estorsione come scopo del sequestro -. Fui io a raccogliere il corpicino in via del Traglione. Gli feci una carezza mormorando: “questa è da parte dei tuoi genitori”. E poi non me la sentii di lasciare solo il piccolo Tommy: volli accompagnarlo in Medicina legale».
Errede dovette raccomandare agli uomini della Mobile che erano con lui di mantenere la calma con Alessi, che indicava il luogo in cui aveva sepolto Tommy sotto un palmo di terra. Disse loro che sarebbe stato di certo condannato all’ergastolo. «E se dovesse uscire mi ribollirebbe il sangue» aggiunge ora. Pensiero condiviso da Giuseppe Tramuta. «Ma io – sottolinea lui, tra i poliziotti al fianco del magistrato quel giorno – avrei dato l’ergastolo a tutti e tre, perché quel crimine ha superato troppi limiti. Venti anni sono pochi per chi lo ha commesso… E presto uscirà la Conserva, che già ha usufruito di permessi premio». Si dice combattuto sulla questione l’ex collega Giuseppe Festa. «Capisco che sapere fuori uno dei rapitori del figlio è un’altra mazzata per Paola Pellinghelli che ne ha già dovuto passare tante - dice -. Ma non pongo sullo stesso piano Raimondi e Alessi, per il quale credo si dovrebbero buttare le chiavi, anche per il crimine commesso in precedenza (lo stupro di una ragazza in Sicilia, dopo aver legato a un albero il fidanzato per costringerlo ad assistere). Spero che Raimondi si sia ravveduto. Spetterà poi al Signore giudicarlo».
«Amareggiato come padre», Nicola Vitale si dice «concorde con le esternazioni della signora Pellinghelli». Tuttavia, da uomo di legge, l’allora dirigente della Squadra mobile riconosce che «Raimondi ha scontato la sua pena. Per quanto è stato riscontrato, era ignaro che quello che avrebbe dovuto essere un sequestro lampo si sarebbe trasformato in un omicidio. Inoltre, lui fu subito collaborativo… La giustizia ha fatto il proprio corso». La stessa che ieri il vicepremier Matteo Salvini ha definito non giustizia, dedicando un «pensiero a quel piccolo angelo e a chi lo ricorda e lo piange ancora oggi». Critico verso Salvini un altro degli investigatori impegnati nel caso. «Si cambino le leggi, se quelle attuali non vanno bene – sottolinea Antonio Di Marco, allora ispettore della Squadra mobile, uomo grande e grosso che allora e tante altre volte si è ritrovato a piangere per Tommy -. A livello umano non ci sono parole. Ma se non altro Raimondi ha scontato il debito con la giustizia. Che dire allora, se si pensa a Brusca, a sua volta fuori, nonostante si sappia bene cosa ha combinato?»
Roberto Longoni
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da Media Marketing Italia
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata