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C'era una volta

Da Parma a Pontremoli? Un viaggio di 12 ore: in diligenza...

Da Parma a Pontremoli? Un viaggio di 12 ore: in diligenza...

di Lorenzo Sartorio

15 Settembre 2025, 03:01

Tutte le osterie parmigiane avevano la loro affezionata clientela ma, alcune di esse, divennero un mito come il Cavallo Bianco di Strada Nuova, che, da subito, si trasformò in un importante punto di incontro dei commercianti di cavalli e «caratér» come l’indimenticato e simpaticissimo Giuseppe Chiari. Non solo, ma negli stalli dell’osteria, condotta da Estella Forlini, dal marito Guerrino Massari e dalla nipote Maria Angela., venivano «parcheggiati» i cavalli che trainavano le diligenze che, ad orari antelucani, partivano per le più disparate località della provincia: dalla bassa alla montagna. A volte dalle stalle fuggiva un cavallo creando scompiglio tra i presenti. Si racconta che, un giorno, dalla stalla della trattoria, un cavallo riuscì a liberarsi e, imbizzarrito, percorse a grande velocità la strada creando un certo panico fra i passanti.

L'animale fu rincorso dagli stallieri e dallo stesso Guerrino e la sua corsa si interruppe davanti all'oratorio di Sant'Antonio da Padova fuori Porta San Michele (dove oggi sorge La Galleria). Altre osterie divennero famose per la posizione strategica in cui erano ubicate. E, per posizione strategica, intendiamo la concomitanza con l’arrivo e la partenza delle diligenze o tram a cavalli che collegavano la città alle varie località della bassa, della collina e della montagna. Le diligenze in servizio per la plaga sud-est partivano presso l’attuale Trattoria dei Corrieri in via dell’Università, per dirigersi verso Sala Baganza, Felino, Marzolara, Calestano che veniva raggiunto grazie all’aggiunta di un terzo cavallo (e cosi dicasi per Palanzano, Tizzano, Corniglio e Monchio) e, cioè, fino al 1920 anno di attivazione della tranvia. Nel maggio 1909 la diligenza Parma-Pontremoli va in pensione e viene inaugurato il servizio della prima corriera. La vecchia diligenza dell’ impresa d'Orcesi di Piacenza, per tutto l'Ottocento, aveva collegato Parma a Pontremoli, trasportando la posta e i passeggeri sulla strada napoleonica della Cisa. Partiva ogni giorno, sia da Parma che da Pontremoli, alle 7 del mattino d'inverno e alle otto di sera d'estate, giungendo rispettivamente a Pontremoli e a Parma in 12 ore e portava 12 passeggeri. Partenza, invece, dall’Osteria con stallaggio della Barcaccia, in vicolo Grossardi, per le località della Bassa: Busseto, Soragna, Roccabianca. Anche le osterie davanti alle quali transitavano i tram acquisirono importanza e fama. D’altra parte, dove c’è passaggio c’è commercio. Questa regola era valida in passato ed è rimasta valida anche oggi. Via Langhirano e zone limitrofe, ad esempio, erano disseminate di osterie.

Tra la grassa campagna del primo contado, ambita meta dei parmigiani per la gitarella fuori porta della domenica, le osterie, erano autentici templi innalzati alla genuinità e alla prelibatezza dei nostri piatti tipici. Non esisteva che l’imbarazzo della scelta in quanto, se d’inverno all’interno dei loro stanzoni anneriti dal fumo e dal tempo si potevano gustare, al caldo di una stufa a ghisa, quelle antiche zuppe lente cucinate come Dio comanda, in primavera e in estate erano un’ esplosione di vita che trascorreva allegra e spensierata sotto i fronzuti pergolati illuminati da sconnesse file di traballanti lampadine che, alla sera, erano circondate da nuvole di moscerini e di farfalle notturne. In questi paradisi nostrani di semplicità e di autenticità i parmigiani trascorrevano, coi piedi sotto la tavola, piacevoli momenti della loro giornata in un tempo in cui stress, inquinamento, malavita e altre delizie che costellano la vita odierna, non erano nemmeno ipotizzabili.

La Baracca era uno dei templi gastronomici di quello che, in seguito, divenne il quartiere Montanara. Si trattava di una mitica trattoria dove la Teresa, abilissima vestale dei fornelli, cucinava certe trippe, anolini, tortelli da far resuscitare i morti. Il tutto corredato dai salumi nostrani prodotti dal titolare Gigèn Gennari che faceva uccidere i «gozèn» che allevava personalmente per assicurare quella genuinità alle carni di cui gli osti di ieri andavano fieri come della propria parola. Gigèn, coadiuvato dalla moglie Maria, accoglieva nel suo locale tanti mediatori e commercianti di bestiame che transitavano da via Langhirano, sia con il tram, la cui fermata era proprio davanti al locale, che a bordo dei loro trabiccoli carichi di bestie mugghianti per poi raggiungere la collina. E poi tanti parmigiani che, in questa osteria, erano in grado di riassaporare i gusti dei loro padri. Altre osterie della zona erano quella di Biggi all’altezza del Ponte Dattaro i cui cibi erano accarezzati dalla brezza birichina della Parma che rotolava giù dai monti sollevando quel deserto di polvere che ovattava di mistero la bottega del fabbro Vernizzi, per tutto il mondo «Rarò». Tra i campi incendiati di papaveri in estate e ammantati di neve e «galabrùzza» in inverno, i buongustai, potevano accedere ad altre osterie: la famosa Parma Rotta di Gino e Maria Fontana, all’interno della quale regnava ordine e pulizia che si specchiavano ai travi di legno vecchio come il cucco impregnati di profumo del tempo e di minestroni fatti con grasso. E poi, come non ricordare il mitico Celést di strada Montanara, l’inventore della cotoletta di pollo impanata che richiamò negli anni sessanta tanti avventori che, in quella carne croccante dei polli da cortile che zampettavano nel pollaio dell’oste, assaporavano un frammento di paradiso.

«Celést», uomo generoso, ma «fort cme al trón», ottimo facitore di trippa e lasagne, quando qualche malintenzionato o qualche avventore aveva alzato un po' il gomito e dava noia, non usava telefonare in Questura, ma provvedeva egli stesso a ristabilire l’ordine uscendo dalla cucina, rimboccandosi le maniche e scaraventando di brutto gli importuni nel fosso che costeggiava la strada in modo che l’acqua fresca facesse loro passare i bollenti spiriti. La Barcaccia («Barcàsa») era una delle più famose osterie parmigiane, non solo per la sua ubicazione nel cuore «de dla da l’acua» e «stazione» di diligenze a cavalli, ma anche perché al suo interno poteva disporre di stallaggio e di un campo da bocce che, nel periodo estivo, attirava tante persone per la rituale partita pomeridiana o serale. E poi i prelibati piatti dell’Ameria, moglie di Demetrio il mitico oste oltretorrentino, che in cucina era una vera e propria vestale con i suoi anolini, tortelli, stracotti vari, trippa e altre goloserie parmigiane. Augusto Melegari, scomparso nel luglio 2011, figlio di Demetrio, gestì per anni con il fratello Agostino e la moglie Maria, anche un negozio di alimentari in strada D’Azeglio, poco dopo il Ponte di Mezzo. Uomo buono, generoso, mite, accomodante, ma soprattutto disponibile, Augusto, era molto amato dalla sua clientela e dalla fitta schiera di amici che su di lui potevano sempre contare sia nei momenti gioiosi che in frangenti difficili, poiché non si tirava mai indietro per aiutare chi era difficoltà. Oltre il negozio, Melegari, gestì per qualche tempo anche la storica osteria di famiglia che chiuse definitivamente i battenti negli anni settanta, mentre il negozio abbassò per sempre la saracinesca nel 1984. Già, la «Barcaccia», per parmigiani d’una volta un mito, un tempio della più schietta parmigianità all’interno del quale si improvvisavano cori spontanei, si brindava, si socializzava, ci si aiutava. Dove sbocciavano come le violette primaverili «arlje e torlidi», tipiche del carattere parmigiano, e dove la gente veniva battezzata una seconda volta con dei soprannomi davvero fantastici che coniugavano tutto l’humor e l’estro parmigiani. Ricordi di tempi andati, frammenti di storia di una città che è profondamente cambiata. Immagini, volti, profumi, nomi e soprannomi che, in un elegiaco galleggiare a mezz’aria come in un sogno, sono svaniti via portati lontano, tanto lontano, dalla brezza «’dla Pärma» o sono stati inghiottiti dalla polvere delle diligenze a cavalli che arrivavano e partivano da quelle osterie «con annesso stallaggio».

Lorenzo Sartorio

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