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Testimonianza

Gabella: «Abbiamo paura, ma continuiamo a fare rotta su Gaza»

Gabella: «Abbiamo paura, ma continuiamo a fare rotta su Gaza»

di Roberto Longoni

03 Ottobre 2025, 03:01

Tra loro e la meta (oltre alla Marina israeliana) mare grosso e vento teso in faccia, da risalire di bolina. Gaza vicina nel cuore, ma ben oltre l'orizzonte a sudest, a giorni di navigazione: giorni in cui può accadere di tutto. Tranne il venir meno della risolutezza dei volontari a bordo. «Sono le manifestazioni di solidarietà della notte scorsa (tra mercoledì e ieri, ndr) in tutt'Italia a gonfiarci davvero le vele: dall'impegno di chi ci sostiene nelle strade ci sentiamo spinti di poppa. Mentre gli abbordaggi e i sequestri della Global Sumud Flotilla ci rendono ancora più determinati a procedere: quanto è accaduto dimostra la volontà di Israele di assediare e affamare la popolazione palestinese». Mattia Gabella, militante del Fronte della gioventù comunista e volontario della Freedom Flotilla, salpata pochi giorni dopo la Sumud per prestare soccorso alla popolazione palestinese, risponde al cellulare, in navigazione a nord di Creta. Partiti da Otranto il 25 settembre a bordo della Gassam Kanafami, una barca a vela di 15 metri e mezzo carica di farmaci e generi di prima necessità, il 24enne parmigiano e i suoi tre compagni di bordo (due italiani e un palestinese) non hanno certo trovato condizioni meteo favorevoli finora. «Non è il periodo ideale per una crociera - commenta con sarcasmo, in risposta a chi accusa gli attivisti di essere in gita attraverso il Mediterraneo -. Nel Canale d'Otranto, la prima notte, l'onda era di tre metri. Siamo stati costretti anche ad attracchi non previsti. Ma si va avanti».

Non è certo il mare il pericolo maggiore. Paura? «Certo che sì. Come non averne, vedendo ciò che viene concesso di fare a Israele ogni giorno? La grande nave con a bordo 150 tra medici e infermieri e un importante carico di farmaci, con la quale dovremmo ricongiungerci presto oltre ad altre dieci imbarcazioni simili alla nostra, è stata colpita e incendiata da due droni a maggio. Ad altre barche a vela si è cercato di abbattere gli alberi... Alberi alti 25 metri: se crollano in coperta, è facile immaginare che cosa possa rischiare chi è a bordo».

Ne era consapevole, l'attivista del Fgc laureato in Relazioni internazionali a Bologna, reduce da sette mesi ad Amman con l'Unrwa, l'Agenzia Onu che sostiene i profughi palestinesi. E così i suoi familiari e la fidanzata. «Ma tutti hanno compreso fin da subito che questa azione di rottura e di denuncia era giusta - prosegue Gabella -. Se siamo su queste barche, è perché manca da parte di tutti gli altri la volontà di rompere questo assedio. Noi denunciamo la connivenza dei governi occidentali, mentre ci rincuora vedere la forte risposta degli italiani scesi in piazza».

Tra i manifestanti c'è chi inneggia a una Palestina «libera dal fiume al mare». Significherebbe la fine di Israele... «Ora a rischiare di sparire non sono gli israeliani. È in corso un genocidio e si prospetta l'espulsione dei palestinesi. L'unica opzione è il ritiro dei coloni dai territori riconosciuti dalle Nazioni Unite nel 1967 e la costituzione di un forte stato palestinese». Tornando a bordo: l'arrivo previsto? «Tra domenica e lunedì, meteo permettendo». Dipende dal vento, dal mare. Da Tsahal.

Roberto Longoni

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