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Felino

Ezio, Pietro e Luigi Il «ritorno a casa» di 3 figli del Poggio

Ventenni, finirono inghiottiti nell'eccidio nazista«Ricordo doveroso, per una vera riconciliazione»

Ezio, Pietro e Luigi Il «ritorno a casa» di 3 figli del Poggio

di Roberto Longoni

05 Ottobre 2025, 12:47

Non c'è una tomba su cui piangerli. Il «dispersi» che li accompagna all'Anagrafe suona ancora più atroce che «caduti». Per le famiglie né una bara né una piastrina recuperata sul campo da conservare in un minuscolo sacrario. La memoria di chi non è mai tornato è affidata all'intitolazione di una via percorsa da ignari passanti o a un'incisione su una lapide mai letta. Sepolti nel nulla seguito alla mattanza di Cefalonia e Corfù, tre ragazzi del Poggio sono stati «riesumati» dall'oblio collettivo. Tre ventenni d'allora per altre migliaia di commilitoni dell'Acqui, la divisione massacrata dagli Stukas in battaglia e mitragliata a sangue freddo dopo la resa alla Wehrmacht 82 anni fa nelle isole ionie.

A loro gli sguardi e le parole - sentiti e commossi - del convegno «Cefalonia, settembre 1943: il sacrificio di Ezio Damenti, Pietro Reverberi e Luigi Venturini, trucidati dai nazisti per aver difeso la dignità dei soldati italiani e l'onore della Divisione Acqui» organizzato dall'Associazione nazionale reduci e famiglie caduti Divisione Acqui di Parma, con il patrocinio del Comune di Felino e di Anmig e in collaborazione con lo Stato maggiore della Difesa nella palestra comunale di via XXV Aprile, con il sostegno dei Gruppi alpini di Calestano, Felino e Sala Baganza e della Pro loco di Felino e il contributo fondamentale delle scuole dell'istituto comprensivo Malaguzzi. Palestra luogo di esercizi di memoria, senza la quale non c'è vera riconciliazione. Troppi (uno solo già lo è, come in ogni guerra) i caduti in suffragio dei quali don Martino Maria Verdelli celebra la messa: la stima più attendibile è di cinquemila. «Ma anche di cinquecento civili greci uccisi, mentre cercavano di salvare in qualche modo i soldati dell'Acqui» spiegherà in seguito Elisabetta Giudrinetti, curatrice del saggio «Il prisma della storia, tre visioni, una memoria - La divisione Acqui a Cefalonia e Corfù, 1941-1943». Anche tra i tedeschi ci fu chi si adoperò per aiutare chi, secondo gli ordini di Hitler (attuati con solerzia dai superiori sul campo), avrebbe dovuto fucilare sul posto. E così oltre a quello di Mameli, i musicisti della Piccola banda di Calestano e del Gruppo strumentale bandistico di Felino eseguono l'inno greco e il tedesco. Infine, e non a caso, dell'Unione europea.

«Caddero in nome dell'Italia e della libertà» sottolinea Fabrizio Prada. Il vicepresidente nazionale dell'Anda, salito sul palco con il suo cappello alpino, ricorda l'eccidio, le navi cariche di prigionieri finite sulle mine, il tenente Clerici che intonò l'Inno del Piave mentre lo fucilavano alla Casetta rossa e il colonnello Romagnoli che sbeffeggiò il plotone d'esecuzione fumando la pipa fino all'ultimo respiro. Sottolineata la riconoscenza ai martiri dell'Acqui, Filippo Casolari sindaco di Felino fa proprie le parole del ministro Giuseppe Valditara: «I valori della libertà, difesi da tanti italiani, talvolta arrivando a sacrificare anche la propria vita, non devono più essere ritenuti monopolio di alcuni, a scapito di altri: la libertà deve tornare ad essere un valore di tutti». Ci fu anche una Resistenza in divisa, e Cefalonia fu la la sua pagine più insanguinata. In sintonia con il sindaco le parole del presidente nazionale di Anmig, il cui messaggio è letto dal vicepresidente regionale Adriano Zavatti: «La memoria non è un atto rituale, ma un impegno civile. La libertà va difesa ogni giorno». Un obbligo, come quello di «trasmettere valori».

Valori oggi condivisi da chi nella Seconda guerra mondiale si combatté. «Giusti i quattro inni: non siamo soli, ma dalla stessa parte» sottolinea il generale Maurizio Fronda, sul petto una «corazza» di mostrine per le innumerevoli missioni. Il comandante della Divisione Acqui, che oggi ha sede a Capua, ricorda l'inaugurazione, venerdì scorso, del monumento ai Caduti dell'Acqui. E improvvisa un monumento verbale ai ragazzi del Poggio. Cita i loro nomi, e la platea replica «presente». Finché qualcuno risponderà per loro, i tre soldati non saranno morti del tutto. Grata dell'invito, della «mano tesa in segno di riconciliazione» è Susanne Welter. Il console generale tedesco in Italia parla di «sterminio, di brutale massacro e mattanza. Crimini di guerra per i quali non esistono scusanti» per poi aggiungere: «L'amicizia italo-tedesca, nonostante il passato oscuro, assume oggi ancora più valore».

Il valore del «no» è ricordato da Carmelo Panìco, cuore, anima e muscoli (per l'energia impegnata in oltre un quarto di secolo nella «missione Acqui») della divisione troppo a lungo dimenticata. «Il no dei greci all'ultimatum di Mussolini: e il giorno in cui fu pronunciato, il 28 ottobre, ora è festa nazionale in Grecia. Viva il popolo greco, che preferì essere sacrificato a vivere in schiavitù». Doppio fu poi il «no» pronunciato dai soldati dell'Acqui. «Al generale Gandin e poi ai tedeschi: decisero di resistere». D'obbligo, rievocare il loro sacrificio, «ma anche superare i motivi della discordia e della guerra. Oggi è arrivato il momento del perdono e della riconciliazione». Per questo, è da auspicarsi (oltre al «riconoscimento del ruolo dei militari nella Resistenza») la nascita di un Erasmus tra studenti italiani, tedeschi e greci. Doveroso rivolgersi ai ragazzi. «Perché? Perché non accada mai più».

La parola poi va a loro, ai più giovani, dopo la testimonianza di Irene Rizzi, pronipote di Damenti: «Mio nonno Gianni è stato a lungo sindaco di Felino ispirato dalla Costituzione, dalla Resistenza e dall'esempio di suo zio Ezio». Saranno quindi i ragazzi della 3ªA di Calestano, della 3ªB di Felino e delle 3ªA e 3ªB di Sala Baganza a ridare voce ai tre soldati del Poggio, attraverso i pochi documenti ritrovati. Per Damenti «parla» anche una fisarmonica. «Era allegro, amava suonare». A Venturini viene indirizzata una lettera: «Con profonda ammirazione e gratitudine, da chi non ti ha mai dimenticato». Una poesia è dedicata a Reverberi, «caduto tra le radici di un ulivo, albero di pace». Si chiede infine un ragazzo: «Saremmo capaci della stessa forza d'animo?». Chiederselo è già una mezza risposta.

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