mediazione
I Savoia vogliono tornare in possesso dei gioielli della Corona, custoditi in un caveau della Banca d’Italia dal giugno del 1946. Si tratta di 6.732 brillanti e 2 mila perle, di diverse misure, montati su collier, orecchini, diademi e spille varie. Oggi l’incontro a Roma, pare con esito negativo. Da una parte i legali incaricati da Vittorio Emanuele di Savoia, dall’altra quelli della Banca d’Italia. Dopo il referendum del 1946 che sanciva la fine della monarchia in Italia e la nascita della Repubblica, il 5 giugno, alla vigilia di lasciare l’Italia, l'ultimo re, Umberto II incaricò il marchese Lucifero Falcone, ministro della Real Casa, di portarli all’allora governatore della Banca Luigi Einaudi (sarebbe poi diventato il secondo presidente della Repubblica). Nel verbale di consegna del 1946 del ministro Lucifero è scritto: «Si affidano in custodia alla cassa centrale, per essere tenuti a disposizione di chi di diritto, gli oggetti preziosi che rappresentano le cosiddette gioie di dotazione della Corona del Regno». Nel 2002, una legge costituzionale cancella le disposizioni transitorie della Carta che vietavano ai Savoia l’ingresso sul suolo italiano. Da quell’anno i Savoia iniziano le pratiche per per riavere gli ori di famiglia. Infatti, nelle disposizioni transitorie abrogate veniva requisito il patrimonio immobiliare e i beni mobili appartenuti ai Savoia, non si parla nemmeno dei gioielli.
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