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LETTERA AL DIRETTORE

Tavares e Olivetti

di Mario Bertoli

26 Agosto 2024, 16:00

Caro direttore,
Stellantis, il gruppo degli Elkann (Agnelli) in mano ad Exor (proprietari anche di Repubblica e La Stampa) manda in cassa integrazione 15.000 dipendenti e non rispetta i piani produttivi concordati con il governo italiano. Ma nel frattempo dà 36 milioni di euro di stipendio al suo amministratore delegato Carlos Tavares, un record nel settore, finito nel mirino di dure polemiche anche negli Stati Uniti.

Shawn Fain, presidente del sindacato americano (United automobile workers) attacca duramente Stellantis e Tavares ed è pronto a intraprendere qualsiasi azione contro questo gruppo e attacca personalmente l’amministratore delegato, definendolo un «manager oversea» (traducendo: «uno straniero di oltreoceano» in senso dispregiativo).

La polemica riguarda l’impianto nell’Illinois dove – tanto per cambiare – erano stati pianificati investimenti e assunzioni, nulla di tutto ciò è stato attuato, come in Italia. Il bilancio di Stellantis è il ritratto di un’azienda che si comporta come Robin Hood al contrario, riducendo i dipendenti e aumentando il compenso degli amministratori nel silenzio più assoluto dei ben noti giornaloni sinistrorsi (Repubblica e La Stampa).

C’è una questione di etica pubblica che Stellantis non vuol comprendere. Ricordiamo l’esempio del grandissimo industriale Adriano Olivetti, che aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di appartenenza e solidarietà tra tutti. Per Olivetti nessun dirigente, neanche il più alto in grado, doveva guadagnare più di 10 volte l’ammontare del salario più basso. Tavares invece guadagna mille volte il salario più basso, di lui nessuno si ricorderà nel futuro, mentre Adriano Olivetti rimarrà nella storia come uno dei più geniali imprenditori italiani di sempre.

Poi vediamo Landini, numero uno della Cgil, che dalle amichevoli pagine di «Repubblica» (quotidiano di Elkann), polemizza indirettamente col defunto Sergio Marchionne, dimenticando che aveva salvato dal disastro quel casino che era diventata la Fiat. Non una parola (come quasi tutta la sinistra) però contro i «padroni» di oggi della più grande impresa italiana che fa tagli, trasferimenti e mobilità, ma dà uno stipendio favoloso all'amministratore delegato. Chissà il perché, forse mai come adesso il silenzio è d'oro tra compagni.

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