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Addio al neurochirurgo Murgese. Un sorriso che curava il mondo

Addio al neurochirurgo Murgese. Un sorriso che curava il mondo

di Roberto Longoni

23 Agosto 2020, 14:47

Con la competenza e l'umanità curava i pazienti, con la  dolcezza curava il mondo: lo rendeva un posto migliore. Angelo Murgese lo ha fatto fino  a quando ha avuto un filo di fiato e il mondo doveva sembrargli già così lontano. All'infermiera che gli chiedeva di che cosa avesse bisogno, poco prima di perdere conoscenza,  ha risposto: «Gradirei un mojito». E sulle labbra gli si è disegnato l'ultimo accenno di sorriso. L'altro pomeriggio si è fermato per sempre il cuore di un medico che mettendoci il cuore ha vissuto. «Se n'è andato in punta di piedi un bravo neurochirurgo, un  professionista a 360 gradi: non solo per competenza tecnica, ma anche per l'empatia con il paziente che dovrebbe avere chiunque lavori in questo settore - dice Massimo Fabi, direttore generale dell'Azienda ospedaliero-universitaria -. Un dolore profondissimo coinvolge tutti noi e desidero esprimere la vicinanza mia e di tutta l'azienda alla moglie Anna Rita, al figlio Luca, alla mamma Rosetta».
In punta di piedi, se n'è andato Murgese. O in punta d'ali, perché a chi gli domandava come stesse, dal suo letto d'ospedale rispondeva: «Abbastanza bene, sto cercando di imparare a volare...». Murgese si è spento dopo pochi mesi di  malattia, in un letto del Maggiore. Del «suo» Maggiore, dove per decenni aveva indossato il camice: da qui partirà domani alle 9 la salma diretta alla chiesa parrocchiale di  Felino per le esequie.
 Nato ad Ancona 59 anni fa, a Parma era arrivato adolescente con la famiglia, dopo il trasferimento  del padre Michele, carabiniere. Il percorso  di studi in Medicina, lo aveva affrontato tra la nostra Università e Milano. A Parma aveva poi conseguito la specializzazione in Neurologia. Alla quale presto era seguita quella in Neurochirurgia.
Vent'anni fa, diede il benvenuto a Ermanno Giombelli, attuale primario di Neurochirurgia. «Ora ti faccio conoscere questi posti» disse Murgese, portando il collega fuori città. All'altezza del castello di Torrechiara prese a parlare della bellezza delle colline (lui che aveva scelto di abitare a Felino) e delle cime dell'Appennino. «Gli ricordai che venivo da Sondalo e che di  montagne ne avevo viste un bel po'. E anche d'altra stazza» racconta Giombelli. I due ci risero su: era già nato un fortissimo legame umano prima ancora che professionale.
«Angelo mi ha reso subito facile ambientarmi qui - prosegue Giombelli -. Era un cardine della nostra équipe. E non solo per le capacità di medico impegnato soprattutto nella neurofisiologia intraoperatoria. Aveva un raro spessore di uomo dotato di leggerezza, anche nelle cose serie, e profondità insieme. Era un fattore coagulante nel gruppo».  A conferma delle parole del primario, i tanti ringraziamenti pubblici ricevuti dai pazienti o dalle famiglie. Murgese sapeva curare, sapeva stare accanto, per dire magari anche le cose più dolorose, ma nel modo e nel tono più vicini. Onesto come uomo e come professionista, sempre pronto a non trincerarsi dietro certezze precostituite.
Aveva cominciato a stare male nel dicembre scorso. In un primo tempo, sembrava che il fisico rispondesse alle cure. Almeno questo voleva  vedere chi in quei frangenti era più un amico che un collega. Quando si fece strada l'ipotesi di un'operazione, Murgese, virtuoso della chitarra elettrica, esclamò «è il mio uomo», riferendosi al chirurgo suonatore di basso. Tuttavia, l'operazione non fu possibile. Ma Murgese continuò a suonare. Anche a distanza, con i suoi Sinacoli, durante il lockdown. Agli amici, in maggio, inviò un video in cui con gli altri eseguiva Wicked Game di Chris Isaak. La suonò con il sorriso, quasi a testimoniare che sì, è un gioco malvagio, come dice il titolo. A noi il compito di rendere la musica più dolce possibile.
   

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