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medicina

A Parma si sperimentano tre nuovi farmaci per l'Epatite B

Oggi pomeriggio un incontro aperto al pubblico per parlare dei nuovi progetti terapeutici

A Parma si sperimentano tre nuovi farmaci

di Monica Tiezzi

29 Marzo 2022, 06:50

Anche se l'Italia è fra i Paesi considerati «a bassa endemia» (sotto l'1% di contagiati), l'epatite B è un enorme problema sanitario a livello mondiale: poco meno di 300 milioni i positivi con infezione cronica e circa un milione di morti l'anno.
L'Azienda ospedaliero-universitaria di Parma è impegnata da metà degli anni Ottanta nella lotta all'epatite B. Delle terapie attuali e di quelle future si parlerà nell’incontro aperto al pubblico (necessari green pass e mascherine) che si terrà martedì oggi alle 17.30 nella sala congressi dell’ospedale Maggiore. Un'occasione per informare la cittadinanza delle ricerche in corso in ospedale e dei nuovi progetti terapeutici che verranno avviati localmente nei prossimi mesi.
Parleranno i medici del reparto di Malattie infettive ed Epatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, il direttore Carlo Ferrari e le dottoresse Simona Schivazappa, Federica Brillo, Arianna Alfieri, Carolina Boni, Paola Fisicaro.
Dall'epatite B ci si può tutelare, premette Carlo Ferrari, grazie ad un vaccino «efficacissimo, innocuo e di lunga durata, che garantisce una protezione in oltre il 95% dei casi. Fa parte delle vaccinazioni obbligatorie nei primi mesi di vita ed è consigliato anche per altre categorie di soggetti, fra cui per esempio gli adulti che vivono con soggetti che hanno un'infezione B cronica, che sono a rischio per deficit immunologici o che sono affetti da altre malattie croniche di fegato».
La trasmissione della malattia avviene, nelle aree a bassa prevalenza (Europa occidentale, Usa, Canada, Australia, ad esempio), soprattutto nell’età adulta, «attraverso pratiche sessuali non protette e utilizzo di droghe per via parenterale, in soggetti non coperti dalla vaccinazione. In questo caso il 95% delle infezioni si risolvono spontaneamente senza bisogno di terapie».
Nelle aree a più alta prevalenza (fra le più povere del mondo, come Asia, Africa sub-sahariana, Egitto, Sudan) la trasmissione avviene invece principalmente alla nascita o nell’età perinatale per via «verticale», da parte della madre. «In questi casi il virus di solito non viene eliminato spontaneamente dall’organismo, ma permane in oltre il 90% dei casi, causando epatiti croniche, che nel tempo possono evolvere a cirrosi e tumore del fegato», spiega Ferrari.
Due al momento le terapie: l'interferone e gli analoghi nucleosidici. «Questi ultimi, i più usati, si assumono per bocca e hanno pochi effetti collaterali. Sono molto efficaci, ma non determinano un controllo definitivo dell’infezione; quindi sono da assumere a vita per evitare la riattivazione del virus», dice Ferrari.
L'interferone si somministra per un anno per via intramuscolare, con un'iniezione settimanale, «ma gli effetti collaterali possono essere in taluni casi importanti e solo il 20% dei pazienti riesce a controllare l'infezione», chiarisce Ferrari.
Negli ultimi anni la ricerca sull'epatite B si è intensificata, con l'obiettivo di mettere a punto un farmaco efficace, che richieda un breve tempo di somministrazione, con pochi effetti collaterali. Due le strade: sviluppare farmaci che inibiscano direttamente il virus o «cercare di potenziare le difese immunologiche dei soggetti infettati cronicamente, rendendole simili a quelle di chi riesce ad eliminare spontaneamente il virus. Ed è quest'ultima la strada scelta da Parma», dice Ferrari.
Tre le ricerche sulle quali si lavora a Parma, la prima, finanziata dalla Commissione Europea, mira a stimolare parte del sistema immunitario specifico con vaccini terapeutici. La seconda, pure con fondi CE, cerca di potenziare invece l'immunità innata (quella «aspecifica» che si attiva nello stesso modo qualunque sia l'infezione) che nell'epatite B risulta depressa. La terza, con fondi della Regione, tenta di stimolare l'immunità specifica contro il virus dell'epatite B, correggendo difetti intracellulari responsabili del malfunzionamento dei linfociti.
Un centinaio i pazienti che il team di ricerca di Parma vorrebbe arruolare: la maggioranza per lo studio regionale sull'immunità specifica, e gli altri per lo studio sull'immunità innata e i vaccini terapeutici. «Protocolli che utilizzeranno farmaci già sperimentati in animali, in soggetti sani e in studi pilota. Il fine è agire sulle risposte proteggenti e “stanare” il virus che si cronicizza “nascondendosi” al sistema immunitario», conclude Ferrari.

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