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L'orto in città

Via del Garda: regno della vita in comune

Via del Garda: regno della vita in comune

di Antonio Bertoncini

05 Ottobre 2022, 16:40

Un orto di comunità lo è sempre stato quello di via del Garda. Ed è così ancora oggi con ortolani praticanti (tanti) e ortolani non coltivatori di verdura, ma coltivatori di vita in comune, che anche in uno dei pomeriggi più caldi di un luglio torrido si trovano dietro la grande casa colonica, equamente divisa fra centro sociale e abitazioni popolari, nell’enorme spazio verde attrezzato in loro totale disponibilità, con cucina e tettoia esterna ed una grande tensostruttura per le feste.
In via del Garda si privilegia la vita di comunità all’ordine formale. Qui si fa il contrario di molti altri: lo spazio collettivo, dotato di un ampio parcheggio esterno senza regole, è di fatto accessibile a chiunque, ma gli ortolani difendono i loro zucchini e patate dalla visita dei malintenzionati con recinti di fortuna. Qui, fra lavori con vanghe, zappe e manichetta dell’acqua, non viene mai meno la possibilità di fare quattro chiacchiere e bere un bicchiere di vino in compagnia.
A presiedere all’organizzazione dei 380 appezzamenti da 50 metri, quasi tutti coltivati, c’è oggi Pier Luigi Bertagna, funzionario di banca in pensione, coltivatore da 12 anni e presidente dal 2013, coadiuvato da 9 consiglieri, fra i quali il tesoriere Germano Montali (per tutti “Frige”, mitico cameraman), che ha assunto anche la responsabilità della gestione del centro sociale, e il vicepresidente Giuseppe Cosi, responsabile dell’area ortiva. «L’identità dei coltivatori di orti da noi è molto cambiata – esordisce Bertagna – per le assegnazioni continuiamo a privilegiare gli anziani, ma negli ultimi anni la grande maggioranza delle richieste viene da stranieri. Per noi la socialità ha un valore assoluto e funziona ancora, ma complessivamente non stiamo vivendo un buon momento. Il centro sociale ce lo gestiamo direttamente, abbiamo anche investito in strutture sia nella casa, sia nel parco, per attrezzare lo spazio che usiamo nel periodo estivo. Ma il Covid ci ha messo in ginocchio. Di fatto siamo stati fermi due anni, e ora ci è pure bruciato il bar principale. Per ripartire servono risorse che fatichiamo ad ottenere, così come servono volontari, che sono purtroppo in calo, per gestire le iniziative collettive».
«Il bar interno – puntualizza il Frige – è andato a fuoco per un corto circuito il 20 giugno scorso. Ci sono danni per decine di migliaia di euro. Attendiamo il rimborso dell’assicurazione per poterlo rimettere in attività in vista dell’autunno. Poi ci sono i furti: giusto due giorni fa (era fine luglio) hanno sfondato la porta e ci hanno rubato il computer».
Nel recente passato il centro sociale ha ospitato tanti eventi, feste degli ortolani, grigliate, matrimoni etnici, festa della birra. E ha promosso tante iniziative di solidarietà: «Gli ortolani hanno voglia di stare insieme e di recuperare la loro socialità - ribadisce il presidente - c’è l’ufficio degli Alpini, c’è un gruppo di giovani. Il locale è grande e accogliente, c’è spazio per tutti, anche se la manutenzione, soprattutto negli spazi esterni, è tutt’altro che facile. Ma con Stefano Del Soldato che coordina la cucina e lo chef Federico ai fornelli non si può sbagliare».


Gli orti, ricavati nell’ampio spazio fra via Mantova, la ferrovia e via Lazio, sono quasi tutti recintati e chiusi con il lucchetto (“abitudine impossibile da contrastare”, secondo il presidente che ci accompagna nel tour), tutti sono dotati di rubinetto con l’acqua fornita dal pozzo, e la maggior parte sono ben coltivati. Un certo disordine creativo, tipico dei grandi appezzamenti e degli ampi spazi collettivi, non guasta la familiarità dell’ambiente e l’allegra socialità fra i coltivatori. Una citazione particolare la merita l’associazione «La mano di scorta», guidata da Leonardo Passiatore, una vita in carrozzina, che non gli ha impedito di coltivare il suo pezzetto di terra: «Insieme all’amico Massimo Conte – spiega Passiatore – riuscii a farmi assegnare un orto sociale dal 1980, ma io ovviamente non potevo certo lavorare con gli attrezzi agricoli, il mio contributo materiale era molto limitato. Poi nel 2007 abbiamo avuto l’idea di alzarlo con materiale di recupero recintandolo in legno. Il nostro – scherza Leonardo – è forse il primo orto “diversamente abile” realizzato in Italia. Così è nata l’associazione “La Mano di scorta”. Ora le vasche sono diventate quattro, ed è pure uno spazio solidale, con Davide, Annarita e Armand, che, insieme a me, coltivano friggitelli, meloni, cetrioli, melanzane, zucchine e peperoncini. E troviamo anche il modo di dare qualcosa alla Caritas».
 

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