TRIBUNALE
In Corte d’assise a Reggio Emilia fu uno scontro duro tra accusa, difesa e sei parti civili, su un delitto tra i più efferati degli ultimi anni. Alla sbarra, un giovane solo formalmente imputato, ma in realtà ritenuto colpevole fin da subito dell’uccisione dell’ex fidanzata, reo confesso già sulla gazzella dei carabinieri che lo portava in caserma poche ore dopo l’omicidio. Sciolto con una perizia quello sulla capacità di intendere, rimase un dubbio solo: attenuanti sì o no? Altri non ce n’erano, ma questo non era da poco: valeva la differenza tra il carcere a vita e una pena della quale si prevede la fine.
A far sì che a Mirko Genco, in primo grado non fosse inflitto l’ergastolo per l’omicidio (oltre a un’altra serie di reati, tra i quali la violenza sessuale) di Juana Cecilia Hazana Loayza, l’ex fidanzata peruviana 31enne, è stata la concessione delle attenuanti da parte della giuria presieduta dal giudice Cristina Beretti, con giudice estensore Giovanni Ghini. Ieri, allo scadere dei 90 giorni, il deposito delle motivazioni della sentenza con la quale il 24enne parmigiano è stato condannato a 29 anni e tre mesi, pena che sta scontando da dopo l’arresto, avvenuto il 20 novembre 2021 nel braccio speciale del carcere di Modena nel quale è recluso chi è coinvolto in crimini a sfondo sessuale. Inoltre, Genco è stato condannato al pagamento di diverse provvisionali, tra le quali una di 200mila euro al piccolo di tre anni avuto da Cecilia Hazana da una precedente relazione e una da 100mila alla mamma della vittima che sta dedicando la vita al nipote rimasto orfano.
Tre le attenuanti concesse: per prima, la confessione, particolareggiata al punto da far scrivere che «parlare di confessione suona riduttivo». Poi, il comportamento in aula, che i giudici definiscono «collaborazione processuale, proseguita, in perfetta coerenza col comportamento tenuto nelle indagini, nel dibattimento: dove la difesa ha consentito col non opporsi alla lettura di numerosi atti di indagine o addirittura l’ha proposta». Infine, la «ridotta capacità di comprendere il valore e il disvalore delle sue azioni». Un limite che sarebbe diretta conseguenza delle tragedie di cui a sua volta è stato vittima Genco: dai «genitori incapaci di occuparsi di lui (il padre, tra l'altro, alcolista e con problemi psichici)» ai ricoveri in comunità fino all'uccisione della madre Alessia Della Pia nel 2015 da parte del convivente. I giudici si soffermano anche sul presunto mancato pentimento di Genco, apparso quasi distaccato in aula: «Se sia pentito o no è affare solo suo e della sua coscienza, non della giustizia umana». Se ne riparlerà: l'appello della Procura di Reggio Emilia viene dato per scontato.
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