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STEFANO NAZZI

Stenaz a Parma. «Oggi città insicure? E io vi porto nella Milano dei tre re del crimine»

Stenaz a Parma. «Oggi città insicure? E io vi porto nella Milano dei tre re del crimine»

Stefano Nazzi

di Filippo Marazzini

30 Giugno 2024, 12:17

Si chiama Stefano Nazzi, fa il giornalista da tanti anni e venerdì, presentando il suo ultimo libro “Canti di guerra”, ha accompagnato (con la passione e la competenza che lo contraddistinguono) il pubblico dell’Astra nella Milano degli anni Settanta dove si incrociarono le strade di tre criminali: Francis Turatello, Renato Vallanzasca ed Angelo Epaminonda.

«Ho deciso di raccontare questi fatti per tre motivi. Il primo è perché sono stato bambino in quella Milano e ricordo le atmosfere cupe, quasi in bianco e nero come le fotografie che apparivano sui giornali. Poi perché questi personaggi sono sempre stati presentati come singoli, ma in realtà la loro vicenda è collettiva: si sono alleati, odiati, traditi e persino sparati addosso. Infine, in un periodo in cui a Milano, ma non solo, il tema della sicurezza dei centri urbani è molto sentito, mi piaceva riflettere su come, in passato, la situazione fosse molto più drammatica. Non è vero che le città oggi sono più insicure, questa convinzione è frutto della propaganda politica amplificata dai social. Basta confrontare i dati: a Milano, nel 1970, c’erano 150 omicidi all’anno. Nel 2023 sono stati 19».

Le vicende evocate da Nazzi sembrano uscire dai romanzi di Scerbanenco o dai gangster movie. «Tutti e tre imparano da piccoli ad essere criminali, rubando nei negozi o nelle edicole; entrano nelle bande, ne scalano le gerarchie per poi decidere di scalzare la vecchia malavita milanese chiamata “ligera”, cioè leggera, perché i suoi membri giravano disarmati. Loro invece sparano sempre: la peggior strage criminale italiana (otto morti) avviene nel ‘79 ed è una spedizione punitiva contro alcuni uomini di Turatello che è stato davvero, per un periodo, il re di Milano; gestiva la prostituzione, le estorsioni, le rapine, le bische (allora diffusissime) e i sequestri di persona. Si diceva che fosse figlio di un boss della mafia americana, Frank “Tre Dita” Coppola, chiamato così perché due gli erano rimaste incastrate in una cassaforte».

Un tratto in comune, il narcisismo. «Epaminonda arriva dalla Sicilia e scopre il lusso, le discoteche e la cocaina: ama ballare, si fa confezionare delle giacche rosso fiammante. Vallanzasca, specializzato in rapine, rilascia continuamente, anche in latitanza, molte interviste e Turatello si muove in pelliccia su auto di lusso. Erano sfacciati, certi dell’impunità». Tutto il contrario dei criminali odierni.

«Stando ai pentiti, le famiglie della ‘Ndrangheta, l’organizzazione criminale oggi più radicata al mondo insieme ai cartelli messicani, iscrivono i propri figli alla Bocconi o a Giurisprudenza. L’obiettivo è chiaro: specializzarsi in un controllo più nascosto, ma sempre più capillare dell’economia».

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