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C'era una volta

Madregolo, piccola patria di grandi ciclisti

Le vittorie di Nicandro Gelati,Afro Manara e Leonardo Levati

Madregolo, piccola patria di grandi ciclisti

di Lorenzo Sartorio

14 Ottobre 2024, 09:57

L'età, quando comincia a salire e tinge i capelli di bianco dando una nivea spruzzatina anche alla barba e ai baffi per chi li porta, può fare degli amabili scherzi utilizzando una parola magica che si chiama «ricordi». E, guarda caso, i ricordi si fanno sempre più struggenti e vivi quando gli anni passano. Allora, gli stessi ricordi, si trasformano in un film in bianco e nero le cui immagini scorrono lente in un elegiaco galleggiare a mezz’aria. Per alcuni madregolesi tutto è nato da un’ iniziativa molto semplice, quasi infantile, chiamata «Ciclo tappo» che gli ex ragazzi di ieri ricorderanno meglio come la gara con i sinalcoli.

Le «tappe» dei vari Giri d’Italia o Tour de France si disegnavano con un gesso o con un pezzo di mattone sulla strada, nei marciapiedi, sui muretti e poi si iniziava la corsa con una manciata di sinalcoli svuotati e riempiti a dovere con l’immagine del corridore preferito custodita da un cerchietto di vetro fissato da un po’ di stucco. I sinalcoli più pregiati erano quelli «rosso- Ferrari» del «Campari Soda», forse perché un po’ più larghi e bassi degli altri e, quindi, più veloci. Per le gare importanti e molto combattute, effettuate sui marciapiedi, era un lusso segnare la pista con i gessetti colorati: una vera rarità che si potevano permettere in pochi. Ebbene, grazie a questa gara di «Ciclo tappo» tanti madregolesi , in primis Tullo Ampollini, grande conoscitore della sua terra che ama profondamente, hanno fatto un salto indietro con la memoria ricordando quando nelle stradine del paese, anche loro, si cimentavano con i «sinàllcol».

A proposito di Madregolo non si può dimenticare una battuta, perla della parmigianità di ieri, che l’indimenticabile conte Lodovico da Parma fece una mattina da Pepèn mentre gustava, ovviamente a sbafo, l’ennesima tartina sotto gli occhi complici di Pepèn e della moglie Lidia, due care persone. Il conte Lodovico, sempre elegante ed impeccabile, con quei baffetti da tanghero argentino sciupafemmine e con aria di sufficienza nei confronti dei presenti disse: «Oggi pomeriggio vado a Roma». La cosa stupì non poco chi gli era accanto ben sapendo che il «conte» «cuand l’andäva lontan al ciapäva al tram p'r andär a San Làzor». Ma era stato talmente serio quando pronunciò questo annuncio che qualcuno ci credette. Sorpresa. A fine pomeriggio, il conte Lodovico, era presente, bello come il sole, da Pepèn per il solito «bianchén». Ed allora Pepèn gli disse: «Mo at' si miga andè a Ròmma?». Risposta del «conte»: «si si a són béle tornè indrè. A són andè a catär di mé parént ch' i fan i pajzan». Il conte Lodovico, ovviamente, alludeva non alla «caput mundi » ma a «Ròmma äd Madrèggol».

Una curiosità su «Roma di Madregolo». In passato, l’abitato di Madregolo e la strada che lo attraversava si chiamava Roma, toponimo molto probabilmente legato al passaggio dei pellegrini che, dalla Via Emilia, raggiungevano la via Francigena per arrivare a Roma, mentre la chiesa, spostata verso il Taro, era in località Madregolo. Il nome primitivo del paese era Macretulo che, col passare degli anni, diventò Matricule, derivando probabilmente dal latino Mecritulus, che significa luogo magro, con terreno poco fertile, principalmente se paragonato a Vicofertile e per la convenienza a lasciarlo incolto a causa delle continue inondazioni del Taro. Alcune fonti ipotizzano che il nome originario sia stato «Vicus Macritulum» proprio in contrapposizione a «Vicus Fertilis».

Nella zona di Madregolo rimangono evidentissime le tracce della centuriazione romana, sia nella rete stradale sia nella geometria delle colture agricole. Nel tempo, la tradizione popolare ha coniato «Ròmma äd Madreggol», termine singolare ma anche simpatico. Ebbene, su Madregolo, si potrebbe scrivere un romanzo tanto è interessante la storia di quei personaggi che hanno ruotato attorno a questo «mondo piccolo».

Una delle più belle pagine su Madregolo la scrisse alcuni anni fa Romano Gelati, docente universitario in un importante ateneo milanese. Uno spaccato davvero epico e commovente di questa frazioncina di Collecchio i cui abitanti, ancor oggi, possiedono un forte senso di appartenenza alla propria comunità. Gelati, nella sua carrellata di amarcord, cita i personaggi più caratteristici del posto «Ettore al maringón, Vigiola al campanär. E poi il sartor Lizen: Motta, la Giuditta, la Berta, Romlón, Marino d’ Preti, la Concetta, la Guglielma, i Sessa, Frambati, al postén, Palén al campär», la «Nina d’ Guasti», la «Nisén» la «Maria d’ Cavagli» (impressionante per la velocità con cui sferruzzava), i Rabbini, «l’Ernesta e Domenichén», Manella al casonér, Giovanén e Second, la Teresa d’Plagàt, Bergamén, Primón, gli ortlan Cazalén» e tanti altri.

Tutti attori inconsapevoli di un film neorealista impreziosito da una sceneggiatura unica che aveva come sfondo la «céza», le stalle, le viuzze e gli estesi campi di cipolle. Madregolo, e questo è stato un po' il significato della gara di «Ciclo-tappo», è stata anche la patria di campioni del pedale, ossia di validissimi atleti delle «due ruote» che si distinsero (fine anni cinquanta-inizi anni sessanta) in varie gare anche a livello nazionale, tanto da conquistare ambiti traguardi come, ad esempio, Nicandro Gelati, madregolese doc, residente da anni in borgo Marodolo, amico fraterno ed «ombra» di «Gigètt» Mistrali nel loggione del Regio essendo entrambi melomani. Nicandro, inoltre, è pure una punta di diamante del «Club dei 27» dove occupa lo scranno di «Nabucco». Altri campioni del pedale madregolesi anni ‘50 e anni '60 furono: Leonardo Levati, attuale presidente dell’associazione bersaglieri in congedo di Parma e Afro Manara. «Madregolo - così lo descrisse il professor Gelati - è un paese che figura raramente nelle carte geografiche, un paese, che, pur fregiandosi anche del nome di Roma, date le sue dimensioni, al massimo, potrebbe aspirare a capitale della «dorata di Parma» la magnifica cipolla coltivata nei suoi dintorni. Un paese apparentemente insignificante, dunque, ma con un’anima grossa così quella di tutto un popolo fatto da personaggi per nulla anonimi, partecipi l’uno dell’altro, con una carica umana contagiosa». Ecco, allora, spiegato il «miracolo» della gara di «Ciclo tappo» in grado di fare rivivere a tanti madregolesi amabilissimi amarcord «da fär gnir al magón».

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