Protezione civile
Bruciavano i boschi, bruciava l'aria, con i suoi 40 gradi all'ombra, e continuava a bruciare la terra incenerita, tanto da staccare le suole delle scarpe, e così il sottosuolo, con le radici delle piante ridotte a tizzoni ardenti, micce per roghi a distanza, trappole per chi camminava sulle sabbie mobili di cenere. Dodici ore, al netto dei viaggi, è durata la missione sul Vesuvio dei volontari della Protezione civile parmigiana: dodici ore con un peso specifico difficile da immaginare per chi gli incendi li vede in tv o anche solo da lontano. Duccio Maestri, Alessandro Bianchi, Giuseppe Cavatorta, Andrea Solari e Marco Azzerini hanno combattuto in condizioni proibitive a Boscotrecase, contro focolai pronti a ridar vita ai roghi, inerpicati sul monte che di fuoco ha l'anima. In condizioni come queste, oltre all'acqua - non sempre disponibile - è soprattutto sui mezzi manuali che si può contare. Il badile per primo. «Avessimo dovuto reggere altri due giorni come previsto, non so come avremmo fatto» commenta Maestri, decano del Nip.
L'aiuto è venuto dal cielo. Non solo dai Canadair che hanno continuato a bombardare le fiamme che divoravano le parti più impervie del vulcano. Fondamentale è stata la pioggia. «Oltre a quella, poca, scesa martedì, il giorno del nostro arrivo - prosegue Maestri - ne è caduta mercoledì sera e poi, ancora più copiosa, giovedì». È stata questa, finalmente non più ridotta in vapore dalle fiamme, a contenere l'emergenza. Ma intanto i cinque volontari parmigiani - che hanno lavorato con 400 «colleghi» di tutt'Italia (15 del resto dell'Emilia-Romagna), con i vigili del fuoco di ogni regione e con i soldati del Genio impegnati a creare linee tagliafuoco e a ripristinare vecchie carraie - avevano vissuto un mercoledì da leoni. In un clima arroventato, racchiusi nello scafandro formato da caschi, guanti e tute ignifughe.
«Il danno ambientale è incalcolabile - prosegue Maestri -. Oltre 800 ettari di parco nazionale sono stati inceneriti, stando alle esplorazioni dei droni, dall'alto». Un ettaro, va ricordato, misura 10mila metri quadrati: più di un campo da calcio. «A noi - continua il volontario responsabile della colonna mobile regionale - era stata affidata un'area che avremmo dovuto coprire con la Protezione civile valdostana poi lasciata a casa. Divisi in cinque squadre operative, siamo stati impegnati a bonificare accuratamente una vasta area del Vesuvio. Oltre a boschi distrutti, abbiamo visto case danneggiate dal fuoco, anche se la maggior parte è stata salvata. Difficile anche dire quanti siano gli animali uccisi da questo flagello: di alcuni abbiamo trovato le carcasse carbonizzate, ma di molti si devono essere perse perfino le ossa».
Di positivo c'è la riconoscenza della gente. «Molti ci hanno ringraziato, ci hanno offerto il caffè alla nostra partenza». Sono trascorsi giorni da quella «tazzulella» condivisa con un'umanità ferita dal fuoco. E il puzzo di bruciato ancora non ha abbandonato le narici dei volontari parmigiani.
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Chirurgia mini-invasiva
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