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Stare bene

Dipendenza digitale, come disintossicarsi da cellulare, social e web

Digitali. Non troppo

di Monica Tiezzi

24 Settembre 2022, 09:07

Risponde Laura Gherardi Docente di sociologia e opinione pubblica e del master di Comunicazione digitale mobile e social all'università di Parma

Disintossicarsi dal cellulare, dai social, dalle app, dal web. Non è più solo una metafora: la dipendenza digitale sta diventano un problema anche nel nostro Paese - pur arretrato dal punto di vista informatico, per altri aspetti - al punto che dal 2016 è attivo il Centro pediatrico interdipartimentale per la psicopatologia da web. Un'iniziativa congiunta del Policlinico Gemelli e del dipartimento di medicina dell’Università Cattolica che aiuta giovani e giovanissimi che fanno uso eccessivo e scorretto delle nuove tecnologie. Mentre altri gruppi privati che si occupano di benessere propongono da tempo sessioni di «digital life coaching».
«Il problema non riguarda più solo gli adolescenti, vi si rivolgono persone di ogni età, connesse fino a oltre dieci ore al giorno, con sintomi che vanno dalla nomofobia (la paura di rimanere sconnessi, ndr) alla smartphone addiction» spiega Laura Gherardi, professoressa di sociologia e opinione pubblica all'Università di Parma e docente del Master di Comunicazione digitale mobile e social.
Da tempo è nata una corrente di minimalismo digitale che evidenza i rischi di una cannibalizzazione delle nostre vite da parte dei social, con ricadute economiche e psico-fisiche importanti.
Vi è mai capitato di consultare il pc o lo smartphone alla ricerca di una singola e precisa informazione e trovarvi risucchiati dai mille ganci tentatori del web (forte di profilazioni sempre più mirate, e della mole di informazioni su noi stessi che gli abbiamo dato in pasto) che ci fanno sprecare ore «a guardare notizie che non capiamo o che sono irrilevanti per noi - dice Gherardi - Una colonizzazione dell'attenzione che ci fa perdere di vista cosa è importante sapere e cosa davvero ci arricchisce». E poiché l'attenzione è un bene limitato, «la distrazione e lo stordimento creato dal web disallena a riflettere e ragionare», dice Gherardi.
Una dipendenza che distorce la costruzione dell’identità e dell’immagine personale e porta alla reclusione sociale. «L'attenzione è un bene che cercano non solo le piattaforme, ma anche gli altri utenti in cerca di gradimento. I social possono diventare una vetrina del Sè nella quale ciascuno si promuove, scatenando dinamiche competitive, di imitazione o mimetiche, che creano profonda frustrazione e senso di inadeguatezza. Bisognerebbe chiedersi: quanto la mia autostima dipende dall'approvazione dei social o dai like? Quanta paura ho di restare escluso? E anche riflettere se davvero le vite degli altri sono così felici come appaiono», fa notare Gherardi.
Come riprendere il controllo del proprio tempo a favore di attività più gratificanti delle navigazioni web, dei giochi e delle app che spesso rubano anche il sonno?
«Stabilire relazioni digitali ibridate con quelle reali e non sostitutive, ad esempio chattare nell'ottica di incontrarsi di persona», suggerisce Gherardi. E ancora: «Essere più selettivi: ha senso avere 700 amici facebook? Che possibilità ci sono di stabilire relazioni significative? Spegnere i cellulari di notte, ignorarli ai pasti o nei momenti di socialità, riservarsi un tempo prestabilito e limitato per controllare messaggi che non siano di lavoro o necessari, silenziare le notifiche quando dobbiamo restare concentrati» suggerisce la docente.
«Io consiglio anche, nel tempo libero, di riscoprire attività all'aria aperta, a contatto con la natura, fare sport o lavori manuali. Frequentare amici, leggere un libro, fare un corso, prendersi del tempo per sé, fare spazio mentale».
C'è chi va oltre e suggerisce (come l'americano Cal Newport, docente di informatica alla Georgetown University, nel suo libro «Minimalismo digitale») di partire con una terapia d'urto: una settimana senza smartphone e pc. E poi tornare ad affacciarsi - con oculatezza - sul mondo digitale. Si sopravvive, assicura lo studioso americano. Anzi, spesso ci si scopre più appagati, pieni di energia e felici.

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