Ciro Lo Bello, nato in una borgata dell’Appennino Tosco Emiliano, a dispetto del suo cognome, non era affatto attraente. Di media statura e gobbo, aveva la faccia lunga e magra, gli occhi piccoli e neri. Sua moglie Teresa, alta e bruna, era invece molto fascinosa.
Ciro apparteneva ad una discendenza di pastori, attività che lui perpetuava.
Teresa si mormorava che l’avesse sposato perché abbiente; da alcune zie Ciro aveva ereditato due grandi casamenti, da lei trasformati in agriturismo. D’inverno e d’estate i turisti non mancavano. Ciro era geloso della moglie e poteva accadere che lasciasse il gregge incustodito per andare, d’improvviso, a casa. Impegnata nei lavori di mantenimento dei locali, ironica e affettuosa Teresa lo accoglieva con un sorriso ed un rimprovero: non doveva lasciare l’armento, i lupi avrebbero potuto uccidergli dei capi!
Seguito da suoi due cani Pastori apuani, Ciro tornava al lavoro. L’unico loro figlio era medico, e viveva a Pisa. Al padre non assomigliava neanche in un capello.
Si sussurrava che Teresa avesse avuto degli amanti, e il figlio era di uno di questi. Ciro avvertiva tutto questo ciò benché non avesse prove per dimostrarlo, né parole per esprimerlo come avrebbe voluto.
Comunque era certo che la moglie lo tradisse, alla stessa maniera di quando, sulla montagna con l’armento, avvertiva che il tempo sarebbe cambiato; infatti il sole si oscurava, nubi a bruma avvolgevano l’Appennino, e irrompeva il temporale, coi fulmini ed i tuoni che sapevano di ferro rovente.
Momenti in cui, inzuppato, correva ai ripari sotto la gronda di qualche capanna abbandonata. Allora, più che mai, si sentiva malinconico, anzi depresso, e, verso Teresa, al pari dell’amore e della gelosia, gli subentrava un odio irrefrenabile, da cui germogliavano propositi che mai avrebbe voluto attuare, ma che insistevano alla stregua di una tentazione a cui non gli riusciva facile sottrarsi, almeno fino a quando, a casa, non rivedeva Teresa.
Ma la nostra storia riguarda altro. Nell’agriturismo, quell’estate, vennero due fratelli tedeschi, uno dei quali mostrò simpatia per Teresa la quale, civetta, non ne disdegnava le attenzioni. Ciro ne soffriva.
Poi i due fratelli tornarono in Germania. L’anno dopo, venuti di nuovo, portarono in regalo un cucciolo di Pastore tedesco grigio dagli occhi lucidi e svegli e molto giocherellone.
Teresa lo adorava e non avrebbe voluto mandarlo alle pecore. Sennonché Ciro, infastidito dell’affetto che lei gli mostrava, non appena cresciuto ce lo portò.
Venne l’inverno. Il cane, di nome York, che non proveniva da una selezione idonea al lavoro con le greggi, anziché parare e muovere quello di Ciro insieme ai due apuani, poteva accadere che disertasse.
Ogni volta che avveniva, a Ciro spariva qualche pecora, che avrebbe trovato uccisa e nascosta nei cespugli. Sebbene York lo facesse con perizia, Ciro se ne accorse. E molto si impegnò per correggerlo, ma non ottenne alcun risultato. Allora, senza dir niente a Teresa, gli sparò, gettandolo in un dirupo come faceva coi predatori.
Alcuni lupi, durante la notte, fiutatane la presenza, si avvicinarono per saziarsene. Ma la femmina capo branco si oppose.
Ferito non grave, lo soccorsero trascinandolo nei pressi della loro tana dove avevano dei cuccioli e, come facevano per questi, gli procurarono il cibo. Guarito, si unì al branco. Sovente, di notte, si avvicinava alla casa di Ciro; gli sarebbe piaciuto farsi carezzare da Teresa.
Venne un inverno di tramontane e bufere. I torrenti della montagna si fecero impetuosi e un pomeriggio Ciro, alla ricerca di una pecora smarrita, cadde in uno di essi. Stava per affogare, quando sentì afferrarsi per la giacca e trascinare a riva sotto gli occhi esterrefatti di due cacciatori, sull’altra parte del greto.
Sia quest’ultimi sia Ciro credettero che a salvarlo fosse stato un lupo.
Ricoverato all’ospedale, il pastore morì per insufficienza respiratoria. Attorno alla sua tomba, di notte, fu veduto un animale, ritenuto selvatico. Teresa lo seppe e stupita, pensò fosse il medesimo che lo aveva salvato. Sennonché, una mattina, nel prato davanti casa, vide un lupo, ma con le orecchie troppo lunghe e gli occhi diversi. Suo marito gli aveva detto che York era morto inseguendo un cinghiale. Non fece in tempo a finire il pensiero che l’animale, a testa bassa e scodinzolando, le andò incontro. Allora lei lo chiamò per nome e lui guaì. Poi York si alzò sulle posteriori, e si abbracciarono stretti. Finché dal bosco, imperiosi, si alzarono degli ululi. Lasciata Teresa, York si rinselvò.
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