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Alessandro Folli

“Carmen”, di Georges Bizet

 

08 Marzo 2022, 17:25

Alessandro FOLLI

5^A scenografia – liceo artistico P. Toschi

“Carmen”, di Georges Bizet

 

Le mani, violente, al collo. Lei soffoca. Questo gesto adirato, deluso e straziato domina lei portando l’affievolire del respiro e l’appassire la vita. Un letto, una cella grigia, una prigione. Indistinguibile è la differenza tra spazio fisico e psicologico. Una tormentata gabbia, dove bloccata è una dolorosa immagine e una vicenda che tra i ricordi rievoca l’incubo: Carmen. Lo spettatore è lì e condivide la prigionia mentale di Don José che estrae dal sacco dei ricordi il fiore del loro primo incontro, e si strugge ancora nel dolore del quasi necessario omicidio. Quasi necessario perché inafferrabile appare Carmen, sia nell’allucinazione sia nella realtà evocata, e legarla a lui tramite la morte appare l’unica soluzione possibile. Così la Carmen di Georges Bizet, diretta da Silvia Paoli, finisce o per meglio dire inizia. Le scelte registiche sono finalizzate a mostrare che tutto è una proiezione, quello che noi sappiamo ci viene raccontato dal punto di vista di José. La molteplicità in scena, rievocata più volte, mostra il tormento e l’oppressione che questa magnetica e seducente figura ha sugli uomini e può salvarli come portarli alla distruzione anche, come si vede, dopo la morte. La scenografia di Andrea Belli rappresenta fisicamente lo spazio della detenzione: con le claustrofobiche mura che non abbandonano mai la scena, come a ricordarci costantemente che non si scappa dalle nostre colpe nemmeno nel sogno che dovrebbe permettere di evadere. Decisamente cupo appare inoltre l’atto II con un Escamillo sottotono e non sono presenti i parlati caratteristici dell’Opéra Comique. Ben riuscita appare la figura di Micaela che, accompagnata dalla musica, si sposa bene in un suggestivo intreccio tra passato e presente. La protagonista femminile, Carmen, interpretata da Ramona Zaharia, fa la sua comparsa nel cortile della prigione dove viene presentata attraverso la porta e le mani che si intrecciano, i costumi, una sottoveste nera e un abito da sposa, le movenze di lei, sottolineano il carattere seduttivo portando ad una riflessione, forse ridondante, sulla sessualizzazione delle donne. Riferimenti impliciti al corpo femminile sono presenti anche sulle proiezioni dell’atto III, in cui le montagne assumono sinuose forme di gambe femminili. Nella stessa scena José solleva il fagotto contenente la vita che avrebbe avuto a fianco di Micaela e a cui ha rinunciato mandando tutto in polvere

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