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Rebecca Bertani

CARMEN: IL FOLLE DEMONE DI UN ASSASINO

08 Marzo 2022, 17:27

Rebecca Bertani Liceo Romagnosi classe 1D

Recensione di Carmen (11 gennaio ’22)

CARMEN: IL FOLLE DEMONE DI UN ASSASINO

 

<<Questa non è la Carmen, si dovrebbe chiamare “Don Josè”>>, ha sussurrato una signora dietro di me nell’intervallo della prova generale dell’opera produzione del Teatro Regio di Parma e regia di Silvia Paoli. Tale affermazione era quasi prevedibile dal così temuto pubblico locale; si parla, infatti, di una messa in scena inaspettata, che mira ad osservare la vicenda del noto femminicidio da un’angolazione interna. Il crimine in sé è messo al centro della narrazione, o meglio, le sue conseguenze su chi l’ha compiuto: e così l’epilogo diventa l’inizio, in un ciclo che non termina con la fine della musica, diretta da Jordi Bernàcer, in versione ridotta, con taglio dei parlati, causa di mancanze ed incongruenze nella trama e di perdita di carattere dell’aspetto uditivo. Il tratto più originale è stato il radicale spostamento spaziotemporale ed il rimescolamento della narrazione, sviscerata e ricomposta. In questa ambientazione con lontani richiami agli anni 60, è chiaro più che mai, che sia Don Josè ( Azer Zada) a dirci come siano andati i fatti, nel suo incubo di carcerato che prende forma nella cella, in cui tutto si piega alla sua allucinazione: Carmen (Ramona Zaharia) diventa un demone in sottoveste nera, che si aggira per il palco a guisa di presenza impalpabile, mentre Micaela(Veronica Marani) in un casto tailleur blu, sembra essere l’unico appiglio di salvezza nella follia del carcerato, riportandolo al presente. Interessante l’utilizzo di barriere architettoniche, alzate o abbassate per mostrare i due piani temporali in cui la vicenda si svolge: il ricordo allucinato ed il cupo presente. Da contestare invece l’utilizzo del coro del Teatro Regio diretto da Martino Faggiani, privato di potenziale carattere, ridotto a sfondo commentatore e riempitivo delle azioni dei personaggi principali; buono invece l’utilizzo delle danze, dirette da Carlo Massari, raccordo fra i vari personaggi ed amplificazione fisica delle loro emozioni. Fra le novità di questa rappresentazione vi erano anche le risorse video, non riuscite pienamente nell’intento di ricordare i temi principali dell’opera, per via dei loro significati fin ben troppo celati da immagini a tratti disturbanti. Infine, il susseguirsi di teatrali colpi di scena non inghiotte la nostalgia dell’atmosfera spagnola, disperatamente proclamata dalla musica, che non trova alcun corrispettivo sul palco, se non per il coloratissimo costume di Escamillo (Alessandro Luongo). Sarà questa scelta di eliminare il fondamentale elemento esotico un ben riuscito espediente per rivelare lo scheletro fondante dell’opera?

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