umanità e speranza nel concerto offerto da Fondazione Cariparma
È troppo facile dire che la vita è bella: a volte, a vederlo dirigere le sue composizioni, quei brani che subito accendono sullo schermo della memoria un flusso inarrestabile di immagini, può essere anche meravigliosa. E sorprendente, inaspettata. Perché quel signore qui, il Maestro che l'Università di Parma appena due anni fa volle fare «dottore» (riconoscendogli una laurea honoris causa), è molto di più dell'Oscar vinto un quarto di secolo fa. È un talento che va al di là dei premi, pur tantissimi: e sfocia nell'impegno, nell'altruismo, nell'etica civile. Qualità, umane troppo umane, che lo rendono il protagonista ideale di «Natale Insieme 24», il tradizionale concerto al Teatro Regio che Fondazione Cariparma regala stasera alle 20.30 alla città e dove Nicola Piovani insieme a Lella Costa porterà il pubblico in un viaggio quasi fiabesco, dove un peschereccio può anche trasformarsi in un violino e le storie di chi fugge dalla miseria si intrecciano a quelle di chi, dietro le sbarre di una cella, può scappare in un altrove solo con la fantasia.
Maestro, nel concerto di Santa Lucia al Regio dirigerà oltre alla Filarmonica di Parma anche l'Orchestra del Mare, dove i musicisti utilizzeranno strumenti realizzati nella liuteria del carcere di Opera, con il legno delle barche con cui i migranti hanno attraversato il Mediterraneo. Lo possiamo considerare un messaggio di rinascita che passa attraverso la musica?
«La musica può fare poco di concreto per affrontare le i drammi che il pianeta sta passando. Ma a livello simbolico può rinforzare il messaggio lanciato dalle iniziative virtuose, dalle associazioni volontarie che affrontano le tragedie della nostra contemporaneità, iniziative in cui operano tanti uomini di buona volontà. Mi commuove pensare al legname che è stato testimone di naufragi, di tragedie strazianti e che ora diventa uno strumento musicale, per dar voce alla musica, al canto, alla speranza. Il messaggio di rinascita va coltivato, anche quando siamo pervasi di comprensibile pessimismo».
A tutti è noto il suo grande impegno civile: quanto quest'ultimo incide nella sua attività di compositore, nelle sue scelte?
«Ho scritto il brano “Il canto del legno” in un momento in cui ero impegnatissimo. Ci ho lavorato di notte, volevo portare a termine il piccolo progetto dando il meglio di me: un brano presentato alla presenza di Papa Francesco, un brano nato con l’intento di aggiungere una piccola luce musicale sul cammino della solidarietà».
Viviamo un momento di grande incertezza, tra guerre e feroci disuguaglianze: la musica può rendere migliore il mondo?
«Non so se la bellezza artistica possa far qualcosa per salvare il mondo, ma sono certo che la bruttezza può distruggerlo. Il pianeta vive un momento molto preoccupante, però non dobbiamo dimenticare che neanche i secoli passati furono rose e fiori sul tema della pace e della guerra. Forse oggi ne abbiamo una coscienza più forte, e questo eventualmente è un dato positivo».
Ha mai pensato di entrare in politica, di avere un ruolo pubblico?
«No, perché credo che non sarei adatto, sarei un pessimo gestore della cosa pubblica: fare politica è anche un mestiere, non basta la passione. Come nella musica».
A Parma la amano particolarmente: due anni fa qui ha anche ricevuto la laurea honoris causa. In quell'occasione paragonò Verdi a Shakespeare: in cosa li trova simili?
«Non ricordo bene in che occasione lo dissi, ma comunque ho un amore viscerale per questi due drammaturghi giganteschi che conoscono a fondo l’animo umano e ce lo fanno amare, in versi e in musica, in teatro insomma».
Per «La vita è bella» di Roberto Benigni ha ricevuto l'Oscar: resta una delle sue colonne sonore più note. Ma c'è un film, a parte questo, a cui è legato particolarmente? E perché?
«Sono diversi. In genere sono attaccato all’ultimo film che ho musicato: oggi è “Il treno dei bambini”, regia di Cristina Comencini, tratto dal bel romanzo di Viola Ardone. È un film che mi ha coinvolto e commosso molto».
Con il regista parmigiano Giuseppe Bertolucci ha fatto tre film: che ricordo ne ha?
«Un ricordo meraviglioso: era una persona di una comunicativa umana rara, era un uomo intelligente e molto ironico, gentile, in controtendenza con la prosopopea ambientale della cultura romana dei suoi anni. Era un uomo di una vitalità molto generosa».
C'è un regista con cui non ha ancora lavorato ma con cui le piacerebbe particolarmente collaborare? O magari c'è stato un «no» a un autore che poi ha rimpianto di avere detto?
La mia storia con la musica da film è quasi conclusa. Salvo eccezioni possibili – i recenti lavori che ho fatto con Cristina Comencini e con Sergio Rubini – preferisco dedicarmi al teatro, ai concerti, all’opera, alla commedia musicale. Ho lavorato in più di duecento film, tralasciando da parte quella musica che Ennio Morricone amava chiamare “assoluta”. Ora è la stagione, il tempo di equilibrare il mio catalogo».
Con Fabrizio De André ha firmato due dei suoi album più belli, «Non al denaro, non all’amore, né al cielo» e «Storia di un impiegato»: come nacque quel sodalizio? E cosa le ha lasciato?
Nacque senza accadimenti particolari: lui cercava un arrangiatore, aveva sentito un disco da me arrangiato e mi fece chiamare dalla casa discografica. Andai da lui a Genova, mi spiegò che non aveva ancora scritto una nota, mi lesse un testo. Io lo musicai, gli piacque e mi propose di scrivere la musica del disco a quattro mani».
Una volta, parlando delle colonne sonore, ha dichiarato che «fra un po’ l'intelligenza artificiale farà quei lavori molto meglio di Beethoven». Ne è davvero convinto? E come si pone un compositore come lei davanti all'AI?
«Non so da dove sia uscita quella frase che non ho mai detto, né mai pensato. Ho detto che, per ora, l’AI è eccellente per comporre musica fotocopia, succedanei di musiche già esistenti. Nell’inventare banalità è utilissima, quindi è utilissima a tante produzioni di film seriali. Ma per avere il guizzo dell’invenzione non è ancora pronta, credo. Certo, toglierà lavoro a molti compositori di fotocopie e ci stimolerà a essere più inventivi».
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