Le oltre duemila sere all'opera di Alberto Mattioli in un libro
Passione e ironia del «Loggionista impenitente»
di Mara Pedrabissi
23 Agosto 2025, 16:32
Chi conosce Alberto Mattioli già lo sa: è uomo acuto, giornalista e scrittore brillante, allergico alle recensioni ingessate e ai panegirici paludati. Il suo «Il loggionista impenitente - Duemila sere all'opera» (Garzanti, 368 pagine, 19 euro) ne è la conferma.
Mattioli è al tempo stesso quello che si professa e quello che non si professa. Qui, si definisce «non un critico (anche se lo faccio)» ma un loggionista (con un concetto del “bello” difforme però da quello degli habitué delle piccionaie della Scala di Milano e del Regio di Parma, «le più temibili»). È «potenzialmente entusiasta». Non vive il teatro come un tempio da venerare, piuttosto come un ring dove scambiare anche stoccate.
In uno stile che non annoia, miscela di erudizione e battute fulminanti, il libro è un viaggio «ex post»: viene dopo 2159 serate passate all'opera. «Cretino esperto» si definisce, con un'autoironia che ce lo rende subito simpatico. La sua scrittura sa prendere per mano il lettore e condurlo nel labirinto dell'opera, tra direttori divini e regie «da dimenticare». La struttura del libro è ben articolata, raccogliendo per categorie, articoli già usciti (La Stampa, Il Foglio, le testate di QN, Il Secolo XIX e i quotidiani del gruppo Nord Est, oltre al mensile Amadeus o in libretti di sala). Operazione riciclo? Ammesso e non concesso che lo sia, non sarebbe scandalosa. Sono pagine dense: peccato usarle, il giorno dopo l'uscita in edicola, per «pulire i vetri».
Le sezioni più interessanti sono la galleria dei personaggi «divini» (dall'omaggio a Claudio Abbado nel decennale della morte al mito intramontabile di Maria Callas) e quella sui “temi” (polemiche e mode). Segue la carrellata di recensioni: Mattioli, schietto e diretto, in pochi minuti sa “battezzare” uno spettacolo. In un mondo dove l'opera non è più «nazional-pop», il «Loggionista impenitente» ci ricorda lo scopo primario del teatro: seminare dubbi, non certezze; aiutarci a capire chi siamo.
Nota positiva: l'autore ci mette sempre la faccia per difendere, sostenere le proprie idee, dalla battaglia contro i telefonini lasciati accesi in sala alla lotta contro l'uso femminile de «la soprano» (ma, in questo caso, noi non siamo d'accordo, perché il linguaggio di genere è e resta un gran segno di civiltà). E comunque la si pensi, adesso, all'opera.