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L'arduo compito della riconciliazione

L'arduo compito della riconciliazione

di Domenico Cacopardo

08 Gennaio 2021, 09:08

Mercoledì 6 gennaio, s’è consumata a Washington quella che potrebbe essere la conclusione logica del ruolo di Donald Trump nella vita pubblica americana. L’assalto al Campidoglio, infatti, ha già cambiato qualcosa sul piano istituzionale: Mike Pence, il vicepresidente, ha di fatto assunto un ruolo ben più importante di prima. Ha difeso il Parlamento ed è stato lui, proprio lui, ad assumersi la responsabilità di chiamare la Guardia Nazionale per ripristinare l’ordine. Poi, appena ristabilita la calma, ha ripreso in mano il Senato e la direzione della seduta congiunta con il Congresso, che ha archiviato le ultime restanti mozioni anti Biden e lo ha proclamato presidente eletto.
Di fatto, un’attuazione di quanto previsto dal 25esimo emendamento , comma 4, della Costituzione americana («Ogni qualvolta il Vicepresidente e una maggioranza dei titolari dei Dicasteri dell'esecutivo oppure di altro organo, che con legge sarà indicato dal Congresso, trasmetteranno al Presidente pro tempore del Senato e allo Speaker della Camera dei rappresentanti una loro dichiarazione scritta nel senso che il Presidente non è in grado di esercitare i poteri e adempiere ai doveri della sua carica, il Vicepresidente assumerà immediatamente l'incarico quale facente funzione di Presidente»), che potrà tornare d’attualità se e quando Trump se ne uscisse con qualche altra inaccettabile trovata. E, se l’accaduto ha un senso, esso lo ha anche come minaccia di rimozione in caso di necessità nei prossimi 12 giorni.
Perciò, l’asse del potere presidenziale il giorno dell’Epifania s’è decisamente spostato nella direzione di Pence e difficilmente tornerà nelle mani di Donald Trump. Anche Mitchell (Mitch) McConnell, il potente capo dei senatori repubblicani, s’è dissociato dalle richieste presidenziali: «Invertire il voto sarebbe una spirale mortale. Gli elettori, i tribunali e gli Stati hanno tutti parlato: se decidessimo contro di loro, mineremmo la nostra repubblica per sempre». Certo il trumpismo non è morto mercoledì 6 gennaio. È, invece, terminata la carriera politica del presidente, che subirà le conseguenze giudiziarie di un comportamento per molti versi illecito, e, soprattutto, il recupero dell’autonomia politica e decisionale dei repubblicani, la cui prospettiva è quella di battersi per riconquistare, nel 2024 la presidenza, contendendola alla probabilissima candidata Kamala Harris. Per farlo occorrerà un candidato convincente, capace di riappropriarsi del centro perduto a favore di Biden. Ancora a caldo, dobbiamo ammettere che il danno reputazionale arrecato da Trump agli USA è enorme e sarà sanato con difficoltà e in molto tempo.  A Biden, al partito democratico e a  quello repubblicano spetta ora il compito più arduo: riconciliare il Paese, rendendolo patrimonio comune. E ricostruire, quindi, il ruolo degli USA e della democrazia americana. Un valore di comune interesse, nostro e loro.

www.cacopardo.it

   
 


 

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