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La trattativa Stato-mafia e i confini della giustizia

La trattativa Stato-mafia e i confini della giustizia

di Vittorio Testa

29 Settembre 2021, 09:50

Sì, uomini dello Stato hanno trattato con esponenti della mafia, con l’anti-Stato, per arrivare a un accordo, un do ut des, che evitasse attentati e stragi. 
Ma facendo questo non hanno compiuto nessun reato. Questa la sostanza della sentenza in Appello che manda assolti tutti i protagonisti della cosiddetta «Trattativa», ribaltando la sentenza di primo grado che condannava a pene cospicue tre ufficiali dei Carabinieri, Marcello Dell’Utri, e alcuni boss mafiosi.
Chi ha vissuto quegli anni rimane certamente sbigottito. Ma se si presta un po’ di attenzione al contesto di quegli anni diventa ragionevole pensare che sì, la cosa fa impressione: ma che cosa si deve o non si deve fare per evitare che la mafia diventi stragista per ricattare la politica e lo Stato sulla pelle di noi cittadini? 
Siamo nel periodo terribile che inizia nel 1992. Il vecchio sistema politico partitico viene terremotato dal voto degli italiani e dalla Procura di Milano, un sostituto dei quali, Antonio Di Pietro, diviene famoso come cacciatore di tangenti, misteri e complicità. Spazzati via i vecchi partiti del centrosinistra, cadono i tradizionali referenti del voto moderato, anticomunista.

La Lega Nord di Umberto Bossi stravolge l’assetto politico della cosidetta ‘capitale morale’ : la Milano che scopre un ceto politico affaristico incistato su un sistema che produce tangenti miliardarie.  La Lega sbaraglia il campo, nel 1993 conquista la poltrona di Palazzo Marino, eleggendo Formentini sindaco con il 60 per cento dei voti.   Milano messa a soqquadro, Roma in crisi, il Sud allo sbando. E’ nata Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, su idea di Bettino Craxi, e regia di Marcello Dell’Utri, capo dell’organizzazione finanziaria,  ’’Publitalia’’,  del sistema berlusconiano. 
Nel marzo del ’94 Berlusconi-alleato con la Lega, la destra di Fini e il Centro di Casini - vince le elezioni e diventa presidente del Consiglio. Il vento del Nord soffia anche su Palermo: qui la mafia vede saltare in aria il vecchio assetto socio-politico: la Procura scatena indagini serie, mirate.
 La mafia non può più contare su connivenze politiche che hanno perso peso: i tradizionali referenti non garantiscono più appoggi e soluzioni ai vari problemi. Falcone e Borsellino capeggiano un ‘pool’ dalle grandi capacità investigative. La sconfitta più grande per i mafiosi è quella che Falcone compie con una sola mossa.
 Nel 1992 si chiude il maxiprocesso contro 475 mafiosi: è un colpo come mai nessun altro contro Riina e soci. In Cassazione, il grado di giudizio di forma sulle sentenze, ogni volta che arriva una condanna di mafiosi c’è un giudice, Carnevali, che trova un’irregolarità e rinvia gli atti ordinando di rifare il processo. Falcone riesce a togliere l’inamovibilità di quel giudice, introduce il sistema a rotazione annuale.
 La mafia subisce una sconfitta enorme, e il capo dei capi Totò Riina ordina la liquidazione dei politici traditori: il primo dei quali a essere ammazzato è il potentissimo Salvo Lima, uomo di Andreotti, che in Sicilia ha la roccaforte di voti interni alla Dc, partito interclassista organizzato sul sistema delle correnti. 
Cadono sotto il piombo mafioso poliziotti e magistrati, politici e imprenditori. Falcone e Borsellino fatti saltare in aria uno dopo l’altro a distanza di due mesi nel 1992. E poi le stragi del 1993: nel cuore artistico di Firenze, a pochi passi dagli Uffizi. A Milano in via Palestro, vicino a Palazzo Reale. 


E l’attentato alla basilica di San Giovanni in Laterano e quello alla chiesa di san Giorgio al Velabro a Roma.E’ in questo clima angoscioso che si arriva al cambio di sistema politico del 1994. Con Berlusconi a Palazzo Chigi. Berlusconi e il suo uomo di fiducia Marcello Dell’Utri ,uomo che secondo certi magistrati non altri era che la cinghia di trasmissione tra Berlusconi e i boss mafiosi. Dell’Utri che verrà imputato insieme ad alti ufficiali dei Carabinieri, Mori, Subranni e De Donno, per aver intessuto una trattativa con uomini della mafia al fine di far cessare le stragi e gli attentati. Processati e condannati in primo grado, eccoli assolti, dieci anni dopo, nel processo d’Appello ‘’perché il fatto non costituisce reato’’. E Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia, assolto ‘’per non aver commesso il fatto’’. La liberatoria sentenza d’Appello controbilancia la colpevolista tesi accusatoria premiata dal processo di primo grado. Mettiamo che un pentito riveli che in un tal giorno la mafia metterà un bomba che esploderà in uno stadio colmo. Per evitare la strage ci sarebbe un modo: incontrare l’emissario o direttamente un boss mafioso che chiede di rendere meno stringente la carcerazione speciale, il famoso ‘articolo ’’41 bis’’contro la malavita organizzata. Nel 1993 dopo l’arresto di Riina, l’allora Ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Conso non rinnovò il 41 bis per i 140 detenuti nel carcere palermitano dell’Ucciardone. I servizi segreti avevano avvisato il governo Amato che Provenzano detto Binnu, il boss che sarebbe subentrato a Totò lo curtu al vertice della mafia, era su posizioni anti-stragiste. Conso rivendicò con orgoglio di aver agito in nome del dovere primo di un uomo delle istituzioni: quello di evitare sofferenze alla comunità. Fece bene? Fece male? Secondo Kant il politico deve respingere ogni compromesso, e cita il motto di un Asburgo: ‘’Fiat iustitia et pereat mundus’’. Già ma se concedendo un’ora d’aria in più ai mafiosi in carcere si possono salvare decine di vite umane, l’imperativo del grande Immanuel oggi ci sembra degno di un ministro talebano della Virtù, pronto a decapitare l’infedele. E quindi è il ‘’sommo diritto che diventa somma ingiustizia.
 

 

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