Editoriale
L'Europa è in crisi. Per l’aggressione russa all’Ucraina, ma soprattutto perché è in crisi il suo paese più forte, la Germania. Non solo la Germania è sull’orlo di una recessione (parola sconosciuta ai tedeschi del dopoguerra), ma sono entrati in crisi i pilastri dello sviluppo della Germania degli ultimi 70 anni.
È in crisi il settore industriale della Germania, che in questi 20 anni ha goduto di un commercio internazionale aperto, con aumento della domanda della Cina, un mercato del lavoro efficiente (dopo le riforme del 2006), e soprattutto forniture energetiche a basso prezzo dalla Russia.
La ripresa post-pandemia ha portato strozzature nell’offerta che hanno penalizzato la produzione (si pensa alla mancanza di chip per la produzione di auto); soprattutto ha portato ad un aumento dell’inflazione, un’ipotesi finora impensabile per la Germania.
La Germania è tutt’ora in ritardo (dell’1%) rispetto al livello prima della pandemia. (L’Italia è in pari, gli Usa avanti di 2 punti e mezzo).
La Cina ha rallentato per le politiche anti-covid e per l’esplosiva bolla immobiliare con i grattacieli vuoti; la forza lavoro tedesca è in diminuzione per l’invecchiamento della popolazione (nei prossimi 10 anni usciranno dal mercato 5 milioni di lavoratori), soprattutto alla Germania sono venute a mancare le forniture di energia a basso prezzo dalla Russia. Non solo il gasdotto Nord Stream 2 non è mai stato avviato, ma si sono enormemente ridotte le forniture totali di gas, con la prospettiva che cessino del tutto. La Germania non dispone di rigassificatori, a suo tempo ha deciso di rinunciare all’uso del nucleare e degli impianti a carbone. Solo in queste settimane, tra grandi incertezze, ha avviato un piano di razionamento dei consumi energetici, che - tra gli altri - prevede il ritorno al carbone. Oltre a un ripensamento sull’opportunità di un rinvio della chiusura delle centrali nucleari.
Il modello della Germania del dopoguerra (bassi costi dell’energia, industria efficiente, sindacato dei lavoratori cooperativo, disavanzo pubblico zero, contenimento della domanda interna ampiamente compensata dalle esportazioni, nessuna rivalutazione del marco grazie ad un euro riponderato su tutta l’economia europea) è finito. La politica della signora Merkel ha esaurito la propria spinta propulsiva, ed ora bisogna ripartire da capo, con la Germania che deve ridefinire la propria identità. Soprattutto la Germania non può immaginare di mantenere il proprio status internazionale di gigante economico e nano politico. Su questo il mondo politico tedesco ha già avviato una riflessione, con la decisione di investire 100 miliardi nel riarmo nel proprio esercito.
Pensare al riarmo oggi sembra qualcosa fuori del mondo, dopo tanti discorsi sulla pace, tante riflessioni sui rischi di una guerra nucleare, che porterebbe probabilmente alla fine dell’umanità.
Ma una domanda è ineludibile: se avessimo avuto un'Europa forte, non solo economicamente, ma anche militarmente (Germania inclusa), Putin si sarebbe permesso di attaccare l’Ucraina, impunemente, pensando di farla franca? Probabilmente, siamo ottimisti, Putin non si sarebbe preso un tale rischio. Avrebbe richiesto di avviare un negoziato che avrebbe portato ad un compromesso, senza ricorso alla forza militare.
Ed un’Europa forte avrebbe potuto trattare in modo indipendente rispetto agli Stati Uniti, i quali - come hanno sempre sostenuto - hanno come riferimento avversario la Cina, non certo la “piccola” Russia (con le sue enormi risorse naturali, peraltro irrilevanti per gli Usa), con solo 140 milioni di abitanti.
D’altronde a suo tempo se l’Italia avesse piazzato una sua portaerei (che non ha) al centro del Mediterraneo, Sarkozy non avrebbe detronizzato Gheddafi senza il nostro consenso e relativa tutela dei nostri interessi. Analogamente oggi il Mediterraneo non sarebbe terra di conquista di mercenari russi, esercito turco e fantomatici generali egiziani che minacciano direttamente le nostre aree storiche d’influenza.
Non si tratta di un fantozziano richiamo alle armi, ma della consapevolezza che l’Europa (e direttamente l’Italia) è l’area più ricca del pianeta, che non vuole fare guerra a nessuno, ma che vuole tutelare sé stessa e gli interessi dei propri cittadini. Dotandosi di adeguate risorse militari che consentano all’Europa una realistica ed efficace politica di deterrenza, senza intenti aggressivi.
D’altronde non dimentichiamo che la più grande minaccia del ventesimo secolo è stata l’aggressione nazi-fascista. Che è stata sconfitta mettendo mano alle pistole.
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