Editoriale
È nei momenti di crisi nera che bisogna ricorrere al sangue freddo e non farsi prendere dagli isterismi. E una campagna elettorale dalla cifra demagogica che si svolge nel disinteresse generale spinge i leader dei partiti ad avanzare richieste estemporanee.
Per quel che abbiamo capito di Mario Draghi, si tratta di una persona razionale, dotata di alto senso del dovere (caratteristiche entrambe estremamente rare nell’attuale panorama) che intende onorare questo periodo di transizione rimanendo coerente alle idee e ai metodi sperimentati con successo, oltre che nei delicati compiti di governatore della Banca d’Italia e di presidente della Bce, anche nei 18 mesi di premierato.
Ci sono tante domande senza risposta rispetto alle attuali contingenze e, soprattutto, rispetto a una. In questo tragico gioco di resistenza che vede impegnati Putin - e in misura molto aleatoria l’alleato cinese -, il popolo ucraino, l’Unione europea e gli Stati Uniti (con l’Alleanza atlantica) riscontriamo un orizzonte oscuro, rispetto al quale possiamo disporre di una sola certezza che è la medesima che animò Winston Churchill spingendolo a mobilitare il suo popolo in vista di un obiettivo, ai nostri giorni caduto in disuso: la vittoria, dopo le traversie.
Una vittoria che allora significava la sconfitta delle dittature tedesca, italiana e giapponese e la riaffermazione dei valori di libertà e democrazia. Gli stessi in ballo oggi.
Mario Draghi garantisce per noi e sino all’insediamento di un nuovo governo l’indefettibile partecipazione all’Unione europea, all’Alleanza atlantica e allo schieramento occidentale in sostegno della Repubblica ucraina. E, in quest’ambito, l’adozione di misure coordinate per la difesa delle economie occidentali provate dalle ritorsioni russe, ma non tanto quanto l’economia moscovita alle prese con una crisi di importazioni che desertificherà la grande distribuzione nell’impero. Un evento che colpirà la classe media urbana e che avrà conseguenze politiche non misurabili oggi.
Fiducia in Draghi, quindi, anche nella decisione di non ampliare il deficit che ha già superato il 150% del Pil. L’ampliarlo comporterebbe gravi conseguenze per il Paese e per tutti i cittadini.
Si sta sostenendo nelle piazze che se non ci pensa l’Europa, faremo da soli. Un’alternativa che non esiste, come sanno coloro che si occupano di economia e, soprattutto, di mercato del gas e del petrolio. Un price-cap stabilito da un solo paese è misura ridicola e inefficace. Un finanziamento da parte dello Stato di tutti gli extracosti è una misura viziata da miopia, giacché non è chiaro per quanto tempo la Russia continuerà a esercitare i suoi ricatti e quanti quattrini dovrebbero essere impegnati in un soccorso di lunga durata.
Quindi, Europa: i segni di risveglio di Bruxelles si stanno manifestando.
Se l’isterismo generale suscitato dai partiti - cui nella realtà c’è un riscontro minore di quanto riteniamo (e l’andamento dei mercati ce lo conferma) - prevarrà imponendo misure affrettate ai danni della finanza pubblica, si sappia che si tratta di un passo che ci conduce fuori dalle alleanze storiche e, quindi, nelle braccia del nemico, la Russia.
Purtroppo, l’Italia è nota per l’attitudine a cambiare campo, la «zeitenwende» tedesca: l’ha fatto alla vigilia della Prima guerra mondiale abbandonando la Triplice alleanza per la Triplice intesa; l’ha fatto l’8 settembre 1943 abbandonando il Patto d’acciaio per allearsi da un giorno all’altro con il nemico.
Chi ama questo grande Paese, chi ha contribuito con il proprio sudore reale e metaforico al suo successo, non può accettare un ennesimo giro di valzer che, fra l’altro, sarebbe esiziale per la libertà di ogni italiano.
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