Editoriale
Dopo 1318 giorni dall’aggressione russa contro l’Ucraina, stiamo assistendo alla fase più delicata delle dinamiche internazionali che coinvolgono l’Europa, la Russia e gli Stati Uniti.
Evitando di fomentare un terrorismo psicologico nelle opinioni pubbliche europee, tralasciando le analisi che si basano su mere opinioni personali, spesso prive di competenze sull’argomento, ma influenzate dal proprio orientamento ideologico, cerchiamo di inquadrare quello che sta accadendo nei cieli del Nord Europa all’interno di una cornice che ha una strategia articolata e complessa: la destabilizzazione politica ed economica dell’Unione Europea.
In primo luogo, è bene ricordare che da decenni l’Europa è teatro di attacchi cibernetici tra cui il più significativo proprio in Estonia nel 2007, che rientrano nelle diverse azioni (disinformazione, hackeraggi, interferenze elettorali, etc…) attribuite al termine di «guerra ibrida», spesso addebitate, a ragion veduta in diversi casi, alla Federazione russa.
Non dovremmo, quindi, sorprenderci, se queste azioni si sono intensificate in tempi di «Terza guerra mondiale a pezzi», come ci ha ricordato il compianto Papa Francesco Bergoglio.
(...) L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (Acn) nel 2025 in Italia ha comunicato (anche grazie ad una maggiore capacità di rilevamento), un aumento del 53 per cento rispetto al 2024 di eventi che hanno colpito la Pubblica amministrazione, i siti istituzionali e le telecomunicazioni. Mentre l’Estonia è diventata un punto di riferimento mondiale nella sicurezza cibernetica con risposte rapide ed efficaci, molti altri paesi europei non presentano un simile coordinamento organizzativo e apparato legislativo capace di integrare la cybersicurezza (prevenzione e protezione) con la cyberdifesa (risposta e deterrenza), nonostante gli sforzi dell’Agenzia dell'Unione Europea per la Cybersicurezza (Enisa). Vulnerabili, quindi, sul piano informatico, alcuni attori internazionali stanno cercando di indebolire l’Ue sul fronte economico. In primis, gli Stati Uniti di Donald Trump con l’applicazione di dazi al 15 per cento imposti sui prodotti europei quali automobili, risorse naturali, aeromobili, prodotti farmaceutici e precursori chimici, recentemente codificata dal registro federale americano. Si tratta di un accordo che, al netto di quello che sarà il tasso di cambio euro-dollaro, è stato definito dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come «buono, se non perfetto» perché evita una guerra commerciale, ma che autorevoli economisti e l’ex presidente del consiglio, Mario Draghi, hanno ritenuto troppo favorevole alle condizioni americane. A ciò si aggiunga il rischio di ridurre il grado di competitività europea per avviarsi verso una «lunga agonia» anche attraverso i costi dell’acquisto di gas naturale liquefatto americano (Gnl), petrolio e prodotti dell’energia nucleare per circa 750 miliardi di dollari fino al 2028 nell’ambito del progetto RePowerEu (oltre all’importazione di combustibili fossili dalla Russia da interrompere entro il 2026), i potenziali 100 miliardi di finanziamenti europei per comprare le armi americane da consegnare alla difesa ucraina e i timori di una maggiore dipendenza economica dell’Ue a causa del progetto cinese della Nuova Via della Seta.
E sul piano politico e militare qual è lo stato di salute dell’Ue? Nella celebre frase di Henry Kissinger, l’Ue è stata definita come un «nano politico, gigante economico e verme militare». Molto probabilmente, le istituzioni europee riusciranno ad affrontare le diverse sfide economiche, ma rischiano molto di più in altri settori anche per «colpa» di un difetto originario di cui alcune superpotenze stanno approfittando: l’Ue non è uno stato, ma ha una struttura elefantiaca che non consente rapide decisioni, spesso vincolate dal voto all’unanimità, e con interessi non sempre convergenti tra i suoi paesi membri (ad es. difesa del fronte orientale a scapito di quello meridionale) che possono mettere in pericolo il processo di integrazione europea. E, allora, in virtù della sua architettura istituzionale e dei fattori contingenti di questi ultimi anni, quale occasione migliore per mettere all’angolo l’Ue da parte dei competitors dell’ordine internazionale? Il nostro grande alleato americano si sta sempre più disimpegnando dalla guerra in Ucraina, perché ha compreso che richiederà ancora molto tempo prima di essere risolta, e sta scaricando le responsabilità politica e militare di un eventuale fallimento all’Ue e ai paesi europei della Nato per concentrarsi maggiormente sulla competizione con la Cina e la zona geopolitica indo-pacifica. A sua volta, il Dragone cinese è nella condizione che può essere banalmente riassunta «tra i due litiganti, il terzo gode»: qualunque scenario si prospetterà in Ucraina o in altre parti del mondo, cercherà di trarne un beneficio economico da capitalizzare anche in ambito politico contro gli Usa.
E la Russia di Vladimir Putin? Se seguiamo i ragionamenti che sono stati fatti in questi tre anni, la Russia senza armi che «non vince» la guerra in Ucraina, vassalla economica della Cina, con una grave crisi economica che sfiora il tracollo grazie alle sanzioni occidentali e con un presidente malato e pazzo, perché mai dovrebbe attaccare un paese membro della Nato? Parimenti, perché la Russia, che è «una tigre di carta», non è stata ancora sconfitta dagli alleati dell’Ucraina? Nel tempo, i fatti hanno dimostrato che quei ragionamenti erano solo auspici propagandistici che non avevano alcun riscontro reale immediato, ma quello che sta accadendo sul fronte orientale dell’Europa rischia di diventare «un crinale dal quale si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata», come ha ben sottolineato il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
La storia della Guerra fredda è costellata da diversi esempi di «incidenti» aerei civili e militari come gli Rb-29, il velivolo spia Lockheed U-2 abbattuto nel 1960 e il Korean Air 007 nel 1983 che non hanno determinato reazioni impulsive, ma aumentato le tensioni tra le superpotenze e il peggioramento dei rapporti bilaterali tra gli Usa e l’Urss. Più recentemente, il 24 novembre 2015 un jet da combattimento russo Su-24 fu abbattuto dall’aviazione turca per aver sconfinato lo spazio turco a confine con la Siria. Le conseguenze di quell’atto furono il dispiegamento dei sistemi missilistici russi terra-aria, tra cui i S-300 e S-400, lungo il confine siriano e nella base di Hmeimim, le consultazioni tra la Turchia e la Nato e un peggioramento dei rapporti bilaterali, recuperato solamente dopo l’invio di una lettera ufficiale di rammarico da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan al suo omologo russo.
In queste ultime settimane, abbiamo, invece, assistito ad una serie di «situazioni» per usare il termine della premier danese, Matte Frederiksen, che hanno alternato le notizie di Mig russi da combattimento nello spazio aereo estone e lettone a quelle sulla presenza di droni sospetti in Polonia, Danimarca e Romania. Come interpretare questa serie di eventi? Al di là dell’ipotesi di episodi deliberati di false flag per giustificare il riarmo europeo e di un’eccessiva «isteria» del fronte orientale per sollecitare l’assistenza militare all’Ucraina, da parte della Russia può trattarsi di un test sulla reattività della Nato e le sue contromisure, evitando un coinvolgimento diretto, (posto che la priorità nell’agenda politica è la «questione ucraina»), per comprendere fino a che punto Trump intenda sostenere le azioni degli alleati. L’Ue ha subito reagito con un progetto di «muro anti droni» che richiederà almeno un anno per la sua implementazione, avvalendosi della tecnologia sviluppata nel settore dagli ucraini, capaci di produrre 4 milioni di droni all’anno. Sul caso degli aerei russi in Estonia è bene ricordare che nell’ultimo anno si sono registrate almeno 40 violazioni russe dello spazio aereo in quella zona, ma non hanno mai ricevuto l’attenzione mediatica di questi giorni. Ciò non vuol dire che la Russia non sia coinvolta in queste «provocazioni»; anzi, si tratta di un deliberato atto di destabilizzazione per indebolire la coesione degli Stati europei. Tuttavia, prima di parlare di «attacchi» e «duelli aerei» (non solo a livello mediatico), occorre verificare, riflettere e agire con prudenza e buon senso, per evitare di cadere in una pericolosa trappola, indipendentemente da chi l’abbia organizzata e con quali finalità. Non dimentichiamoci che Putin, Trump, Xi Jinping e molti altri hanno tutto l’interesse di accerchiare e indebolire il continente europeo che, da solo, non ha le forze militari necessarie per imbattersi in uno scontro con le superpotenze. Come ha scritto Trump nel suo social - Good luck to all (buona fortuna a tutti) – e i leader europei sono i primi destinatari di questo maldestro augurio.
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