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Francesca Alinovi. Foto di Lucio Angeletti
La straordinaria bellezza, apparentemente fragile, e l’eleganza irregolare e aggressiva naturalmente personale, la giovinezza intrecciata alla terribile morte prematura fanno di Francesca Alinovi (Parma, 28 gennaio 1948 - Bologna, 12 giugno 1983), una icona degli anni ottanta inquieti ed insieme soddisfatti, dopo l’ennesimo febbrone delle rivolte studentesche del ’77.
Era un periodo di riflusso, un ripiegamento all’indietro, che sembrava frenare ogni slancio di futuro, persino nell’arte che era stata fino a poco prima vitale e innovativa.
Fu proprio Francesca Alinovi, che partendo da Parma e dal ruggente Dams di Bologna, con fiuto pionieristico, talora al limite dell’incoscienza, ma con saldo sapere culturale ed estetico si accorse dell’aria nuova che sembrava nascondersi in mille rivoli creativi che fermentavano in ambiti differenti come l’arte figurativa, il design, la musica, la performance, il fumetto e il teatro.
E’ a New York che Francesca capisce che sotto un’apparente quiete ribolle e fermenta un mondo in evoluzione pieno di pulsioni e di fantasia dalla scena New Wave, ai graffitisti del Bronx e l’East Village, da Keith Haring a Rammellzee.
Venne elaborando un metodo critico che rifletteva il suo occhio attento, per cui anche Bologna, dove curò le prime edizioni della «Settimana Internazionale della Performance» poteva essere l’epicentro di attività multiformi. La sua idea di «arte di frontiera» era la misura di questa apparente marginalità che sarebbe diventata uno dei filoni più innovativi della contemporaneità.
Nel 2019 i suoi scritti sono stati raccolti e ripresentati da Veronica Santi, autrice del documentario «I am not alone anyway» e co-curatrice con Matteo Bergamini del volume «Francesca Alinovi», pubblicato da Postemdia Books. Ed è proprio Veronica Santi in dialogo con Paola Ugolini che oggi a Roma al Maxxi Museo nazionale delle arti del XXI secolo, alle 17 e alle 20.30, nell’Auditorio, si inaugura una settimana dedicata proprio a Francesca Alinovi dal sottotitolo emblematico: «militanza della critica d’arte e contaminazione dei linguaggi artistici». Il tema della contaminazione tra le arte fu uno degli spazi innovativi esplorati dalla studiosa.
Il primo giorno si terrà un simposio con storici, critici e artisti che negli anni hanno continuato ad approfondire il lavoro dell’Alinovi e a valorizzarne la memoria. Inoltre, da oggi a domenica, nella videogallery del MAXXI sarà proiettato il documentario «I am not alone anyway» (2017, durata 75 min), che ripercorre la parabola esistenziale nelle avanguardie artistiche di Francesca Alinovi. Parallelamente vien presentata una ricca selezione di materiale dell’epoca a testimonianza dell’effervescente panorama artistico di New York, in quegli anni.
Nel suo Diario Keit Haring ha scritto tra l’altro di lei: «Era, credo, l’unica tra i critici che io abbia incontrato ad afferrare ciò che stava accadendo a New York. Andava spesso da sola nel Bronx e faceva amicizia con i graffitisti di lì. Fu la prima persona a portare in Europa Ann Magnuson e Kenny Scharf, i pionieri della performing art del Club 57… Mi ricordo che la migliore intervista che io abbia fatto in tutta la mia vita fu con Francesca».
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