Reportage
Il rombo della Jaguar nera sentinella alla reception del museo, il ruggito delle tigri di Ligabue al piano di sopra pronte al balzo letale dalla gabbia spalancata delle loro cornici, l’urlo delle statue da sempre costrette al silenzio. Nella tempesta di decibel scatenata nel primo cortile della Masone sembra sentire pure questo, oltre allo stormire del vento tra i bambù, ma con un suono amplificato e distorto all’infinito e battuto da enormi martelli. Tutto trema, tutti vibrano. Nello tsunami di watt, anche le esili statue dei danzatori, anche le Mata Hari della collezione di Franco Maria Ricci al museo viene da immaginarle intente a fare ciò per cui sono state scolpite: ballare. Gabber Eleganza, l’«archivista della rave music italiana», oscilla come l’asta di un metronomo impazzito, quasi a dettare la fuga dal sole nascente oltre la piramide alle sue spalle. Davanti a lui la grande corte è gremita di molti dei 1.800 partecipanti al Lost Festival, il doppio della scorsa edizione, molti provenienti dall'estero (anche da Corea e Australia). Lost per Labyrinth Original Sound Track, ma anche per «perdersi»: riesce bene in un dedalo e tra musica e bellezza. Perdersi, che poi è anche il modo più intenso di esplorare. Mai esausta, la platea risponde con un «ancora» all’artista del «never sleep» che alle 4,30 dice stop.
Rave, o meglio techno, sarà la sua musica come quella di tanti protagonisti nella scaletta del festival dell’elettronica (infinite le declinazioni) che richiama appassionati da tutto il mondo, ma non è il termine appropriato, per definire la maratona partita venerdì sera e conclusa ieri pomeriggio alla Masone. Suoni e balli, innanzitutto in una cornice di legalità (discreto e capillare il servizio d’ordine, mentre è quasi costante la presenza dei carabinieri ai cancelli), ma anche parole e arti visive. Anche intrecciati, come nel pomeriggio di sabato, con i reading nel museo: il pubblico seduto sul pavimento tra statue e dipinti, ragazze in piedi, sculture viventi per la lettura delle poesie di Flora Cappelletti, Ruben Spini, Rada Kozelj ed He Sun. Nelle altre sale, voci registrate, arcobaleni da plastiche e cd colpiti da raggi di luce. Si ammira in religioso silenzio e mille attenzioni vanno ai volumi di Fmr: sono lì per essere sfogliati, e chi lo fa poi li ripone con cura. Giulia, parmigiana di 22 anni, in poltrona è immersa in Borges. Sembra una custode: e invece è in attesa delle amiche. «Questo festival - dice - è una delle iniziative più belle organizzate nel nostro territorio: sofisticata, richiama persone intelligenti, empatiche e gentili».
Ed estrose: innanzitutto nel vestire. La comunità Lgbt partecipa numerosa. Non sono rari i ragazzi con indosso top o capi leopardati, magari trasparenti. Uno, assicurata al petto da due fasce, tiene una Go-pro, mentre altri vanno in giro a torso nudo, altri ancora sono barbuti e truccati. Seminude sono due giovanissime in continuo movimento. In realtà, a nessuno importa di come coprirsi (o evitare di farlo) o di come sia abbigliato il prossimo suo. «Qui è importante vivere sé stessi con sincerità, senza dare peso all’apparenza». Alternativi anche tra loro, i quasi «pronipoti dei fiori»: più dei ventenni di Woodstock. L'atmosfera è molto rilassata.
E il capitolo droghe, costante nei ritrovi dei giovani o nelle loro solitudini? «Molti sono straight edge: non fumano né bevono. Poi, è ovvio che non tutti seguano queste norme». Meglio proteggere, meglio esserci: all’ingresso della zona Chill Out si trova il banchetto con le specialiste dell’Unità di strada dell’Ausl. «Ci occupiamo della riduzione dei rischi» dice la coordinatrice Barbara Cantarelli, mostrando etilometri, tappi per le orecchie (un centinaio di paia: esauriti non appena la musica prende a picchiare duro), profilattici, caramelle per i crolli glicemici. Sui materassini della «zona di decompressione» saranno in molti a cercare di recuperare, vittime più che altro della stanchezza. Per i casi più gravi, c'è il presidio dei volontari del Seirs, con un'ambulanza attrezzata per tutto il festival. Ma per fortuna nessuno ne avrà bisogno.
Intanto, nel Labirinto, i concerti li si trova come in una caccia al tesoro. Lyra Pramuk, con le sue atmosfere etniche e rarefatte, è dietro un vicolo cieco. Serve un paio di tentativi per raggiungerla. E così per Alto Fuero, sempre all'interno del dedalo: qui sono le percussioni a prevalere. Complici i bambù, per un attimo ci si sente trasportati nella giungla. Entusiasti del festival anche due astigiani «diversamente ragazzi»: Giorgio Franco, 61 anni, e Federico Maggi, 57. «Bello che Laura Casalis Ricci abbia aperto le porte di questa meraviglia alla musica e alla contemporaneità» sottolineano. A vederli, ci si chiede perché non ci siano altri come loro: eventi come questi potrebbero essere occasioni di incontro tra generazioni. I Kraftwerk e Brian Eno non sono poi tanto distanti.
«Era il desiderio del fondatore del Labirinto Franco Maria Ricci, raccogliere espressioni diverse della creatività dell’uomo, cercando sempre di stupire - ricorda Edoardo Pepino, direttore del Labirinto -. Lost ospita amanti della musica ma anche della natura e dell’emozione che si vive attraverso l’arte. È il terzo anno che per tre giorni questo luogo cambia volto, per arricchirne la suggestione». Che può essere quella di ritrovarsi in un'altra dimensione, quando a cantare è la giapponese Hatis Noit. Il suo nome significa «gambo del fiore di loto»: unisce il mondo degli uomini con la sfera della spiritualità. Scalza, vestita di una tunica di seta bianca, con la voce lirica in grado di toccare vette sonore, apre prospettive su eterei mondi perduti. I ragazzi ascoltano estasiati. Ma che salto da lei ai martellatori della techno. «La loro è musica fatta non per essere ascoltata, ma ballata: il segreto è tutto qui» spiegano Antonello, 26 anni, e Carolina, 25, parmigiani. Musica che ti spinge e ti svuota: quasi ti tarantola. Dura fino a quando Gabber non stacca. Ma non è finita: il Labirinto è ancora un cuore di tenebra, ed è lì che si conclude la maratona della notte, con l'ambient di Malibu. Niente più percussioni, ma voce che dilata spazi. Fasci di luce attraversano la coltre di bambù e il fumo artificiale: sembra di essere in Apocalypse Now. Tranquilli, il colonnello Kurz stanotte è già stato bombardato più volte.
Roberto Longoni
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