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C'era una volta

Automobiline e barche, la felicità al Parco Ducale

Automobiline e barche, la felicità al Parco Ducale

di Lorenzo Sartorio

08 Aprile 2024, 03:01

Resiste ancora nel Parco Ducale con il suo magico trenino su cui salgono quei bambini che, nonostante tutto, si sforzano ancora di sognare in questo mondo dove i sogni, quelli belli, sono svaniti. Sono oltre trent’anni che Vittorio Boni, mattina e pomeriggio, aziona quel trenino sui cui vagoni sono salite generazioni di parmigiani.

«Pramzàn dal sas», classe 1940, fisico ancora asciutto a scattante da «gionvòt», Vittorio era nientemeno che un acrobata in sella alla sua «moto pazza». Quando i luna park, meglio i «baracón» primaverili ed estivi, sbocciavano nel cuore di Parma con le loro luci, il loro frastuono, la loro allegria ed il loro profumi di vaniglia, croccanti e zucchero filato, d’ogni tanto, portavano qualche novità per attrarre sempre più la gente. Fra le varie attrazioni dei «baracconi parmigiani» una, in modo particolare, affascinò i giovanotti dell’epoca quando, in occasione della Fiera di San Giuseppe del 1964, in via Costituente, si esibì un gruppo di acrobati che effettuavano il «giro della morte» su apposite motociclette all’interno di una sfera infernale.

Un numero mozzafiato che faceva stare tutti, uomini e donne, giovani e anziani, con il cuore in sospeso nell’osservare quei «matti» che, a cavallo di roboanti motociclette, roteavano intorno come palline. Imbattibile in questa specialità circense fu una famiglia parmigiana: i Boni. Il capostipite fu Giuseppe, nato in borgo «Bartàn» nella stessa casa del grande poeta dialettale «Gigén» Vicini, il quale, con il figlio Vittorio, fu uno dei più noti virtuosi del «Globo della Morte».

Specie in passato «al Zardén» è stato un polo di attrazione per i più piccini. Al termine della stagione fredda, e più precisamente a fine di febbraio inizi marzo con la tradizionale «Féra äd San Giuzép» con i suoi «baracconi» , «dedlà da l'acua», i parchi cittadini (che alla fine anni cinquanta-inizi anni sessanta erano solo due: Cittadella e il Parco Ducale), si rianimavano di ragazzi, nonni, genitori, specie alla domenica. Nel vialone principale che conduce al laghetto, all'ombra dei secolari ippocastani, stazionava, parcheggiata sul lato sinistro, la scuderia di macchinine a pedali alle quali si aggiunsero, dopo qualche anno, anche i «grilli», sempre a pedali. Le macchinine a pedali erano una sorta di siluri di latta a forma di suppostone, solitamente di colore rosso, già in Giardino negli anni '30. Non appena il papà o la mamma pagavano il pedaggio, il bimbo, poteva balzare su quel «bolide» e, azionando i pedali, partiva cigolando lungo le piste della spensieratezza e della gioia.

Non era raro che alcuni «bolidi» entrassero in collisione, ma tutto finiva in un innocuo groviglio subito dipanato dai genitori o dal custode delle macchinine. Le auto a batteria, invece, erano molto ambite anche se in numero più ridotto rispetto a quelle a pedali.

Avevano una strana forma bombata tipo «scodellona da latte» ed anch’esse erano prevalentemente rosse: il colore della sfida.

Silenziose e piuttosto pesanti, ospitavano a bordo ragazzini un po’ grandicelli i quali, non appena entrati nell’abitacolo, pigiavano sull’acceleratore che consentiva all’automobilina di partire dolcemente specchiandoci nelle acque ferme e limacciose del laghetto.

Per i più romantici, specie per le bimbe (un tempo molto meno scatenate delle attuali in quanto non avevano ancora respirato aria di parità con i maschietti), non poteva mancare un giretto a bordo di un calesse trainato da un asinino riccamente bardato ed i cui campanelli si udivano a distanza.

Per i «moróz», invece, la domenica pomeriggio poteva prevedere un romantico giro in barca nel laghetto, meta l'isolotto impreziosito dalla fontana del «Trianon». I più piccini erano invece attratti dal venditore di palloncini. Magro, con una faccia lunga, barba di un paio di giorni, maglietta a righe, sordomuto, si posizionava negli angoli più strategici del centro cittadino durante i giorni feriali, mentre alla domenica e nei festivi non mancava mai in Giardino Pubblico piazzandosi solitamente all’inizio del vialone. Era l’ossessione dei genitori e la delizia dei bambini di allora unitamente a «Belluno», il gelataio ambulante ed a suo cognato Cero che, d’estate, vendeva pure lui i gelati, mentre nella stagione autunnale dispensava ceci caldi e pattona. Un altro gelataio, un certo Belforti, che aveva il laboratorio in Strada Nuova, con il suo elegante carrettino a pedali bianco, a forma di nave, abbellito di sera da una lampada ad acetilene spiccava per il suo sorriso, la visiera da ammiraglio, la nivea giacca bianca e l’immancabile garofano rosso all’occhiello Il venditore di palloncini era attorniato da decine di eteree palle multicolori che ondeggiavano all’aria legate da un sottilissimo filo di cotone che teneva fissato al braccio.

Oltre che con i palloncini, l’uomo attirava l’attenzione dei piccoli con altre «sirene» tipo: armoniche a bocca, macchinine di latta, girandole che roteavano come pale di mulini a vento, bamboline, fischietti, tubicini multicolore ricolmi di acqua e sapone per fare le bolle, animaletti in lenci e in legno.

Il Parco Ducale, per qualche anno, fu pure teatro, in primavera, della «festa del grillo canterino» organizzata da uno dei fratelli Musi, grossisti della Ghiaia ed importatori di banane.

Gli animatori della festa facevamo incetta nelle varie osterie (ed un tempo Parma ne vantava un bel numero) di tappi di sughero che venivano accuratamente lavorati al punto di ricavarne strane gabbiette.

Il tappo veniva scavato al suo interno e, l'abitacolo ricavato, era delimitato da tanti spillini come una gabbietta dentro la quale venivano imprigionati i grilli. «Le gabbiette di sughero - ricorda «Gigétt» Mistrali - venivano poi distribuite ai bambini. Venivano anche installati gli alberi della cuccagna la cui conquista gratificava il vincitore con qualche munizione da bocca».

Concludeva degnamente la trionfale giornata festiva al Parco Ducale un etereo batuffolo di zucchero filato nel quale i bimbi immergevano persino gli orecchi, oppure un gelato che i gelatai ambulanti raspavano nei contenitori dei loro carrettini con l’apposito aggeggio: un paio di gusti (panna e cioccolata) che deponevano con cura su croccanti coni.

Terminata la giornata, il sole faceva capolino dietro le Torri dei Paolotti.

L’esercito dei piccoli faceva chiassosamente ritorno a casa, le automobiline venivano nuovamente parcheggiate ai bordi dei viali, l’uomo dei palloncini, immerso in una nube multicolore si incamminava, quasi volando, sul Ponte Verdi, mentre non era raro intravedere, incastrati ai rami, alcuni palloncini colorati sfuggiti alla presa. Gli altri, invece, ondeggiavano alla brezza della Parma che portava lontano gli echi ed i sogni della spensierata giornata di festa.

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