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Gino Praigoni, l'oste di Strada Nuova dove si fermava anche lo zio di Pavarotti

Gino Praigoni, l'oste di Strada Nuova dove si fermava anche lo zio di Pavarotti

di Lorenzo Sartorio

10 Giugno 2024, 03:01

In strada Nuova che, a dispetto del nome è un strada antica calata nel cuore della città all’ombra della chiesa di San Michele dell’Arco, erano ubicate ben tre osterie: il famosissimo Cavallo Bianco, l’osteria della Clorinna e Artemio e l’osteria-trattoria, con annesso negozio di alimentari, Praigoni. Come se non bastasse, appena svoltato l’angolo, su viale San Michele, troneggiava l’osteria del Pianlà. Insomma, un mondo che si dipanava tra piatti tipici della nostra terra e mai contati «scudlén äd lambrùssch e malvazia».

Al civico 27 della strada vi era la trattoria gestita da Gino Praigoni coadiuvato dalla madre Gemma Bassini, dal fratello Giuseppe, tutti originari di Malalbergo in provincia di Bologna, zona in cui la cucina, come da noi, non è uno scherzo. Gino, nella conduzione del locale, era affiancato anche dalla moglie Ave Cattani originaria di Fornovo. Praigoni, nel 1940, svolse il servizio militare nel 19° Reggimento di Cavalleggeri Guide acquartierato nella Caserma della Cittadella. Nel 1943, venne trasferito a Fornovo come cuoco nella mensa ufficiali dove prestò servizio fino al termine della Seconda guerra mondiale. A Fornovo conobbe Ave Cattani che sposò nel 1946.

Forte dell’esperienza vissuta dietro i fornelli durante il servizio militare, assunse, con la moglie, la gestione di due osterie-trattorie a Ozzano Taro e, avvalendosi dell’aiuto del fratello Giuseppe (classe 1927) e della madre Gemma, aprì una seconda trattoria-osteria a Riccò. Nel 1949, dopo la nascita della figlia Gaetana, Gino, con la famiglia, decise di trasferirsi a Parma acquistando la licenza per la gestione della trattoria-osteria e negozio di alimentari di strada Nuova 27.

Persona molto gioviale, l’oste bolognese, ben presto seppe circondarsi di clienti che, nel tempo, divennero amici nel vero senso della parola, mentre la moglie Ave, molto riservata, era la confidente di tante «rezdóre» di strada Nuova che, da lei, spesso ricevevano saggi e maturi consigli muliebri riguardanti sia la cucina che i lavori domestici. Ave, insieme alla suocera Gemma e al cognato Giuseppe, si occupava della cucina per soddisfare le richieste di circa un centinaio di persone che ogni giorno pranzavano, estate ed inverno, nella trattoria. Erano per lo più operai degli stabilimenti Barilla e Rossi e Catelli ed i carabinieri della vicina Caserma delle Carrozze ubicata in viale San Michele che non disponevano della mensa. Il menù della trattoria era molto semplice. Pochi piatti famosi, abbondanti ma, soprattutto, graditi alla clientela: minestrone di verdura con la «pistäda äd gras», piedini di maiale bolliti, cotechino, ovviamente lasagne bolognesi che facevano resuscitare i morti e, infine, una inarrivabile «buzéca», il piatto più richiesto.

La famiglia Praigoni risiedeva in locali ubicati sopra la trattoria e, dalla stanza da letto dei titolari, si poteva controllare durante la notte, nel caso di rumori sospetti, se nell’osteria fosse entrato qualche malintenzionato. Il tutto, attivando un sistema d’allarme «ante litteram» che funzionava così: spostando un mattone del pavimento, si era in grado di scrutare il locale sottostante.

Gaetana, oltre dare una mano alla famiglia servendo ai tavoli, fu allieva delle Luigine e frequentava, da bambina, la parrocchia di San Michele dove partecipava come figurante ai grandi corsi mascherati organizzati dal parroco don Provinciali. A fine anni ’50 arrivò a Parma una compagnia di teatranti che posizionò il proprio teatro mobile a barriera Repubblica, tra viale Pier Maria Rossi e viale San Michele. I commedianti divennero subito clienti dell’osteria Praigoni e, non avendo bambini nel cast, il capocomico chiese al padre di fare recitare la piccola Gaetana la quale, a 10 anni, strappò gli applausi di mamma e nonna, in prima fila, e degli abitanti di strada Nuova che assistevano agli spettacoli. Gaetana, quando transita da strada Nuova, ha un tuffo al cuore e non manca mai di sostare, provando un grosso «magón», dinnanzi a quello che, un tempo, fu il locale dei suoi genitori e a quelle finestre della sua casa sotto le quali scorreva il suo mondo piccolo che la vedeva alla prese, non solo nel servire ai tavoli, ma anche con la consegna a domicilio dei generi alimentari a numerosi clienti tra i quali la famiglia del maresciallo Giuseppe Ribaldone, comandante della vicina caserma dei carabinieri.

In questo pianeta parmigiano ruotava un’umanità varia come quell’anziana, ormai impossibilitata a fare le scale, che abitava in una vecchia casa del borgo dinnanzi all’osteria la quale era solita calare con la corda il cestino dalla finestra che conteneva un biglietto con scritta la lista della spesa. Affacciatasi alla finestra, l’anziana, rivolgendosi a chiunque in quel momento passasse di lì, chiedeva: «ch' al scuza al pól portär cóll biljètt chì in-t-al negosi chi davanti ? L’é la mè lìssta 'dla spéza».

Ma i ricordi di Gaetana si rincorrono in un elegiaco galleggiare a mezz’aria come quello del fruttivendolo ambulante Pavarotti (sì, proprio lo zio del famoso Luciano) che finiva il suo giro di vendite davanti all’osteria Praigoni dove, regolarmente, lasciava le verdure invendute con l’ironica frase: «Gino, sìggna ch’at' pägh ala fén dal méz».

In una casa, in fondo a strada Nuova, abitava una signora che svolgeva il mestiere «più vecchio del mondo» e aveva pure una certa clientela. I clienti attendevano nella trattoria il loro turno in compagnia di un bicchiere di vino mentre il segnale per salire veniva indicato con l’apertura e la chiusura delle persiane.

Un giorno, mentre Ave stava pulendo, insieme a Gaetana, uno stomaco di bovino per preparare la trippa, alludendo alla professione della persona sopracitata esclamò: «a gh' vól un bél stòmmogh par fär al lavor ch' la fa» («ci vuole un bello stomaco per fare il lavoro che fa»). Non si era però accorta che la «signora» citata era alle sue spalle la quale ribattè: «Ave ànca a pulir cla roba lì a gh' vól un bél stòmmogh» («Ave anche a pulire quella roba ci vuole un buono stomaco»). E la cosa finì lì.

Nella trattoria esisteva uno dei primi apparecchi telefonici presenti nella strada e, pur essendo un telefono privato, veniva utilizzato come telefono pubblico. Spesso, quelle che si ricevevano, erano telefonate per poter parlare con amici o parenti che abitavano nelle vicinanze della trattoria ed, allora, era consuetudine lasciare la cornetta appoggiata alla mensola mentre uno dei titolari del locale usciva per andare alla ricerca dell’interessato o dell’interessata chiamandoli a squarciagola sotto le finestre della loro casa. Nelle serate estive le famiglie, soprattutto le donne, portavano da casa la «scrana» (seggiola) sul marciapiede per le rituali chiacchiere raccontandosi vicende fatti e pettegolezzi che volavano radenti come le zanzare.

Gli uomini, invece, preferivano restare nell’osteria per gustare un bicchiere di vino. Gaetana ricorda un evento importante di fine anni ’50 e, cioè, quando la famiglia Bercelli, che risiedeva a poca distanza dalla trattoria, acquistò uno dei primi televisori e permise, per alcuni pomeriggi alla settimana, a tutti i bambini e bambine della strada tra i quali Luciana Berzieri, Mimmo Camattini, Giulio Cottafavi, Mirella Gabelli e Giovanni Cantoni, di assistere nella sua abitazione alla «Tivù dei ragazzi».

Nel 1970 Gino, con la morte della madre Gemma pur con un certo dispiacere, si vide costretto a chiudere la trattoria trasferendosi in un appartamento nel quartiere di San Lazzaro per occuparsi della vendita di attrezzature destinate ai norcini per la lavorazione dei salumi mentre il fratello Giuseppe, con la moglie Giuliana Bertani, aprì una latteria nel quartiere del Cristo fra via Trieste e via Venezia. Gaetana, dopo aver frequentato l’Istituto tecnico commerciale Melloni ed aver conseguito a pieni voti il diploma di ragioniera, sarà assunta dall’Agenzia delle Entrate e, nel 1973, si unirà in matrimonio con Giorgio Villani. Dal loro matrimonio, nascerà Rodolfo. Gino morirà a Parma nel 1993.

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