Intervista
Lauree e diplomi in Conservatorio sono sicuramente molto importanti e in tanti sono riusciti ad arrivare a questo traguardo anche grazie a un compagno che li ha aiutati a prepararsi a superare gli esami di analisi e armonia. Nato e cresciuto in Lunigiana, il compositore Luca Sutto è arrivato a Parma per studiare pianoforte classico. Al momento dell’esame di ammissione aveva diciannove anni e non sapeva ancora leggere la musica: facendo un paragone improponibile, Verdi aveva un anno di meno quando fu respinto dal conservatorio di Milano come pianista. Nel caso di Luca, però, il talento è stato riconosciuto e in pochi anni ha potuto colmare il “gap” della teoria così bene da poter dare una mano anche ai compagni di studi.
Dopo gli studi al Boito ha proseguito la sua formazione ad Amburgo, dal 2020, dove è l’assistente del compositore Alexander Schubert e dove ha anche rilevato un’accademia musicale. Una sua opera, «Lost in the Scroll» composta l’anno scorso, è stata scelta per il Woman Opera Initiative Program e sarà eseguita al Kennedy Center di Washington D.C il prossimo primo agosto. In questa breve opera, che si può facilmente trovare su Youtube, il soprano protagonista non riesce a terminare il proprio lavoro per colpa delle altre due voci (al Kennedy Center diventeranno forse cinque) che rappresentano i social media che la interrompono.
Qual è stato il tuo percorso musicale?
«Appena entrato nell’adolescenza, un giorno mio padre ha portato a casa una tastiera e da lì ho iniziato a suonare, senza saper leggere. Avevo le idee chiare: sapevo che mi piaceva la musica e che volevo fare il conservatorio, ma non avevo assolutamente idea di cosa fosse quel mondo. Ho cominciato con il vecchio ordinamento di pianoforte e quando c’è stata la possibilità di passare al nuovo triennio, visto che mi è sempre piaciuto improvvisare e non ho mai avuto alcun tipo di pudore nel mischiare i generi, mi sono avvicinato al jazz. Dopo il triennio di pianoforte jazz e il vecchio ordinamento di pianoforte classico ho iniziato il biennio di composizione, con il maestro Luca Tessadrelli».
A cosa ti ispiri?
«Ho ascoltato veramente di tutto dalle cose più tradizionali alle più sperimentali, ma anche funk e dance: per diversi anni ho anche fatto il dj. L’idea di avere questo approccio eclettico a un certo punto rende anche difficile capire chi si è. Per tanto tempo si pensa di dovere trovare una sintesi tra queste cose, ma alla fine uno deve fare quello che si sente».
E nella musica “classica”?
«Il primo approccio con la musica “classica”, come credo per la stragrande maggioranza delle persone, è avvenuto tramite la musica da film, da Disney a Kubrick: solo in un secondo momento ho capito di cosa si trattasse. Non si può non citare John Williams. Per quello che riguarda il repertorio pianistico, per una settimana mi è piaciuto anche Allevi, che nell’ambiente accademico riceve giudizi contrastanti: tutto quello che ti aiuta ad accedere ad altra musica è positivo perché da lì sono passato poi a Debussy, Chopin e Beethoven. Mozart e Bach sono arrivati un po’ più tardi, al tempo del conservatorio. Ho ascoltato anche tanto rock e musica elettronica».
Come sei arrivato a scrivere un’opera?
«Non ho mai pensato di arrivarci: era un genere che non avevo ancora sperimentato. L’anno scorso ho fatto domanda per il festival di New York, Mostly Modern. Non era la prima volta perché nel 2023 avevo partecipato nell’edizione europea in Olanda ed era stata un’ottima esperienza. Ho scelto di presentare un programma operistico perché era l’unico che mi mancava e volevo provare qualcosa di nuovo, anche sapendo che mi sarebbe stato dato un librettista».
Come vi siete ripartiti il lavoro con il librettista?
«C’è stata tutta una serie di incontri anche se in maniera veloce. Ho scelto il soggetto, è piaciuto alla commissione e mi è stata data la possibilità di comunicare con il librettista David Cote, un vero professionista che lavora in questo ambito da tutta la vita e che ha un’idea precisa dei tempi musicali. Il librettista l’ha chiamata la commedia delle basse aspettative: non c’è niente di più divertente, per commentare questo dramma totalmente esagerato, di usare un linguaggio musicale classico che esasperi questa situazione. Mi sono, comunque, limitato a descrivere una situazione, raccontandola in modo comico, non c’è nessuna predica o giudizio morale in questo. La prémière è stata lo scorso giugno, ce ne sarà un’altra ad aprile, sempre a New York, e il primo agosto, invece, sarà rappresentata al Kennedy Center a Washington».
Giulio A. Bocchi
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