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Adriana Asti, tanti legami parmigiani. Alessandro Nidi: «Irriverente e ironica»

Adriana Asti, tanti legami parmigiani. Alessandro Nidi: «Irriverente e ironica»

di Giorgio Gosetti

01 Agosto 2025, 03:01

C’è un tratto di Adriana Asti che colpisce più di ogni altro: quei grandi occhi, scuri e mobilissimi, spalancati sul mondo come in perenne ricerca di scoperta e rassicurazione. Adriana Asti - morta l'altra notte nel sonno, a Roma, all’età di 94 anni - era curiosa, intimidita, emozionata e sorpresa di fronte al mondo e alle persone. Allo stesso tempo detestava le convenzioni, i formalismi. Aveva l’allergia ai «recinti» e anche per questo nella vita soffriva i legami troppo formali (la famiglia, il primo matrimonio), così come in scena sfuggiva a ogni stereotipo. Perché - oggi dobbiamo ricordarlo - Adriana è stata una grande personalità del teatro italiano e una irresistibile musa della diversità sullo schermo.

Nata a Milano il 30 aprile 1931 da una famiglia di imprenditori impoverita alla fine della seconda guerra mondiale, educata rigidamente, innamorata di un padre con cui viveva in perenne conflitto, se ne era andata di casa a 17 anni, convinta da Romolo Valli a seguire la compagnia teatrale del «Carrozzone». Si sentiva «bruttina», con la convinzione di non «saper fare niente, figuriamoci l’attrice». Ma scoprì presto invece che il teatro era il luogo della sicurezza. Ha avuto maestri insuperabili fin da giovane: Memo Benassi, Lilla Brignone, poi Romolo Valli che la presentò a Giorgio Strehler e Luchino Visconti.

Visconti le offrì i primi ruoli importanti per il cinema con «Rocco e i suoi fratelli» (1958). Ma già nel ‘52 aveva debuttato con Strehler a Milano nell’«Elisabetta d’Inghilterra» di Bruckner e poi in tv con Silverio Blasi («Partita a quattro») mentre Visconti la scelse nello stesso anno per «Il crogiolo» di Arthur Miller. «Fu proprio Visconti a suggerirmi il “movimento alla Duse”, ovvero il gesto di passarsi una mano tra i capelli - raccontava a Walter Veltroni in una celebre intervista - ma io quel trucco l’avevo già imparato da Memo Benassi, un gigante».

Il sodalizio teatrale con i due grandi registi milanesi durò fino ai primi anni ‘70. Intanto l’amicizia con Pier Paolo Pasolini e il suo giovane allievo Bernardo Bertolucci (di cui sarà compagna per un decennio) le schiuse la porta del miglior cinema d’autore. Recitò in «Accattone» (1961) di Pasolini, «Il disordine» di Franco Brusati e poi in «Prima della rivoluzione» (1964) con cui Bertolucci la consacrò indimenticabile protagonista. Seguirono titoli che hanno segnato una generazione come «I visionari» di Maurizio Ponzi, «Metti una sera a cena» di Giuseppe Patroni Griffi, «Ludwig» ancora con Visconti, «Il fantasma della libertà» di Luis Bunuel.

Ma Asti non disdegnò il cinema popolare con registi di marcata sensibilità come Mauro Bolognini e Vittorio De Sica («Una breve vacanza»). All’inizio degli anni '70 incontrò Giorgio Ferrara durante una tournée in America con «Orlando furioso» di Luca Ronconi e i due si innamorarono legando vita e arte: ben più giovane di lei, Ferrara la diresse nel suo film più bello («Un cuore semplice», 1977) e poi a teatro in «Trovarsi» di Pirandello. Nel frattempo era diventata anche un volto ormai noto al pubblico televisivo grazie a romanzi sceneggiati di gran successo come «La fiera della vanità» (Anton Giulio Majano), «I Nicotera» (Salvatore Nocita), «Sabato sera dalle nove alle dieci» (Ugo Gregoretti).

Benché sia stata una protagonista indiscutibile, versatile e sempre diversa in palcoscenico (basti ricordare il suo sodalizio col Festival dei Due Mondi di Spoleto fin dal celebre «Giorni felici» diretto da Bob Wilson - scomparso proprio ieri - nel 2010 o le collaborazioni con André Ruth Shammah e Luca Ronconi), il cinema l’ha resa protagonista soprattutto grazie all’incontro con Marco Tullio Giordana che la volle per «Pasolini, un delitto italiano» nel 1995 e poi «La meglio gioventù» nel 2003 con cui vinse il Nastro d’argento e il Globo d’oro. Molto prima, già nel 1974, si era ricordata di lei l’Accademia del David di Donatello con un Premio Speciale nell’anno in cui, grazie a «Una breve vacanza» aveva ottenuto anche il primo Nastro d’argento.

Ora, con l’intimità di un’amicizia diventata profonda specie dopo la scomparsa del marito Giorgio Ferrara due anni fa, Marco Tullio Giordana ricorda: «Quando le capitava di stufarsi in qualche occasione formale con gente pedante e barbosa, Adriana perdeva i sensi e si faceva portare via. Un po' mi consola il pensiero che anche stavolta deve essere svenuta perché si stava annoiando a morte».

Giorgio Gosetti

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