Intervista
La circolarità della musica riporta a Parma Alpesh Chauhan, rinomata bacchetta anglo-indiana, già direttore principale della Toscanini dal 2017 (aveva 27 anni) al 2020. Torna per dirigere il concerto inaugurale della 50ª stagione sinfonica, sabato alle 18 al Paganini (anteprima giovani domani alle 20.30).
Sono giorni di prove su prove, con Simone Rubino, ospite solista alle percussioni, e la Filarmonica Toscanini. «Sono felicissimo di essere tornato - dice il Maestro - La scorsa notte non ho dormito nemmeno un’ora. Ero troppo emozionato. Cercavo di dormire, ma avevo Cajkovskij in testa, pensavo all’orchestra. Oggi in prova ho detto ai professori d'orchestra: “Voi siete la mia macchina, la mia vecchia macchina. L’unica che ho venduto, e ora c’è un altro pilota. Ma quando salgo sul podio, mi sembra ancora la mia macchina”. È strano, ma anche molto bello».
La prima parte del concerto presenterà «The Tears of Nature» di Tan Dun, musica contemporanea e d'allarme ecologico, mentre la seconda sarà dedicata alla Sinfonia n.4 di Cajkovskij, dal grande repertorio romantico. Come affronta la sfida di tenere insieme due mondi musicali così lontani?
«È abbastanza naturale, in realtà. In ogni mio programma c’è sempre un mix, come in una bella cena: servono sapori diversi, consistenze diverse. Un concerto dovrebbe offrire al pubblico qualcosa che conosce ma anche qualcosa di nuovo, da scoprire. In questo caso è semplice: Cajkovskij è molto noto, sia per l’orchestra che per il pubblico e anche per me. È un repertorio familiare. Ma se lo accostiamo a un brano come “The Tears of Nature” allora ascoltiamo Cajkovskij con orecchie diverse. Dopo aver vissuto quei suoni più selvaggi, sperimentali, unici, il nostro ascolto si trasforma: diventiamo più attenti, più ricettivi».
La Quarta Sinfonia è autobiografica per Cajkovskij, un’opera sulla lotta contro il destino. Qual è la sua chiave di lettura o l’emozione che vuole far emergere?
«In realtà non è del tutto certo se questa sinfonia sia completamente autobiografica. Personalmente credo di sì, almeno in parte. Anche il presunto tentativo di suicidio di Cajkovskij, di cui spesso si parla, non è confermato. Sappiamo che ha scritto questa sinfonia per la sua mecenate, Nadezda von Meck; è evidente che in quel momento si sentiva profondamente vulnerabile. Questo si percepisce soprattutto nel primo movimento. Si apre con il tema del fato, che incombe come una presenza costante. Poi si sviluppa in una danza selvaggia, quasi frenetica, che sembra voler scappare da qualcosa. È un sentimento che conosco bene. A volte, si indossa una maschera: si sorride, si mostra una facciata positiva ma non è così. Con Cajkovskij questo è evidente: anche quando la musica sembra felice, c’è un sottofondo inquieto. Ho detto all’orchestra che questo sviluppo musicale somiglia a ciò che accadde a Cajkovskij dopo il matrimonio, un’unione stretta per convenzioni sociali, che finì presto. Tutti sapevano che in realtà era omosessuale. E in questo movimento si sente il crollo emotivo di un uomo: è una discesa, un “breakdown”. È il viaggio interiore di un uomo in crisi».
La Quarta Sinfonia include il celebre Scherzo pizzicato, definito una rarità orchestrale. Come ha lavorato con l'orchestra per ottenere l'effetto desiderato?
«Abbiamo lavorato in modo molto metodico. La difficoltà principale di questo movimento è il tempo: deve essere veloce, ma se lo è troppo si perdono tutte le dinamiche e i fraseggi. È impossibile per gli archi suonare a quella velocità mantenendo il carattere musicale. Durante le prove, la cosa fondamentale è stata trovare il giusto tempo per permettere il fraseggio. Ogni momento deve essere articolato con cura. E con il pizzicato bisogna lavorare ancora di più, perché in sala il suono non si percepisce allo stesso modo che sul palco».
Che significato ha per lei inaugurare la stagione del 50°?
«L’ho detto anche all’orchestra: sono davvero felice per loro, come ex direttore principale. Sono orgoglioso che ora sia stato nominato principal artistic partner un maestro come Kent Nagano. Per l’orchestra segna un’evoluzione importante. Mi piace il lavoro che il sovrintendente Ruben Jais sta facendo, c’è visione, voglia di guardare avanti. Ricordo quando arrivai per la prima volta: l’orchestra non era ancora abituata a un certo tipo di disciplina in prova. Ci sono voluti anni per costruire quel metodo. Ora il modo in cui lavorano è quasi “britannico” per velocità e rigore. Ci sono nuove primi parti, ma anche tanti giovani musicisti che non avevo mai visto prima. I giovani portano energia, e questo mix tra “vecchio” e “nuovo” è prezioso».
Mara Pedrabissi
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