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Intervista a Niccolò Fabi

Intervista a Niccolò Fabi

di Pierangelo Pettenati

21 Agosto 2020, 10:38

A Colorno un concerto più intimo e raccolto.

Niccolò Fabi aveva cantato per l’ultima volta a Parma nel gennaio di quest’anno, al Teatro Regio; domani sarà di nuovo in zona, nella Reggia di Colorno per il Festival della Lentezza (inizio alle 21.30, ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria. Informazioni sul sito www.lentezza.org).
Sono passati 8 mesi da allora, ma da allora tutto è cambiato e inevitabilmente anche questo concerto; il cantautore romano sarà accompagnato solo dagli amici musicisti Roberto Angelini e Pier Cortese e la serata avrà una dimensione più intima e raccolta attorno alla musica. E alle persone:
«Quando, per forza di cosa come in questa situazione - racconta lo stesso Fabi - togli tutto resta la musica e restano anche le persone. Lo spettacolo del Regio permetteva a me di mettermi nell’ombra e dare spazio alla musica, alle immagini, al sogno che volevamo far vivere al pubblico. Ora siamo noi tre, come uomini, al centro del palcoscenico. È un altro approccio allo spettacolo, ma di musica ce n’è sempre parecchia».
E quando al centro metti la musica, emerge anche chi ha davvero qualcosa da dire, chi sa fare musica sul serio, emerge la differenza tra l’artista e il personaggio:
«È anche vero che il tipo di atmosfere che creano i miei concerti sono in sintonia con una sensazione di spaesamento, di preoccupazione rispetto a quello che sarà il futuro perché le canzoni spesso ruotano attorno a dei punti deboli della nostra vita. Il concerto del Regio ha rappresentato il massimo della mia proposta artistica, con un corredo scenografico importante e una produzione molto grande. Questo di Colorno sarà più minimale, anche se poi il risultato e l’intensità non sono proporzionali ai mezzi messi in campo. Mi è capitato di sentire in questo periodo tanti che dicono di preferire questa dimensione più scarna, acustica e intima dove le canzoni escono in maniera ancora più forte».
Le canzoni stesse, quanto saranno diverse da come le conosciamo? 
«Con Pier e Roberto ho provato a raccontare le mie storie in maniera diversa, gli arrangiamenti sono mutati, ci siamo divertiti a sperimentare per trovare sfumature diverse. Alcune versioni sono molto diverse dall’originale, non si sente troppo la mancanza di tutto il resto».
I suoi testi fanno riflettere, sollevano dubbi ma danno anche risposte e hanno sempre un profondo messaggio morale; quanta correlazione c’è tra questo messaggio e il comportamento di chi le ascolta? 
«Posso dare un dato per rappresentare questa correlazione: quest’estate tutti i concerti hanno avuto procedure di acquisto, d’ingresso, restrizioni e disposizioni che hanno messo in difficoltà le persone. Nonostante questo, gli organizzatori degli eventi a cui abbiamo partecipato mi hanno sempre detto di aver visto raramente un pubblico così attento, educato e rispettoso delle procedure necessarie. Mi ha fatto piacere pensare che il pubblico e l’artista si assomigliano e se tu apprezzi un certo tipo di modo di raccontare, probabilmente questo si riflette nel comportamento. Non accade sempre, ma devo dire che in questo caso è così e lo prendo con grande orgoglio».
Cosa possono, in concreto, fare gli artisti in questo momento?
«Dal punto di vista di chi vive con la musica, se le disposizioni saranno confermate, nei locali al chiuso sarà difficilissimo suonare almeno fino alla primavera prossima, perché anche se qualcosa dovesse cambiare, organizzare una tournée richiede tempo e i primi mesi sarebbero persi. Diverso è per la musica in sé; anche in isolamento la musica, l’arte, la letteratura, il cinema ci vengono incontro per dare un senso al nostro isolamento, alle nostre paure, alla nostra angoscia. L’arte riesce sempre a dare conforto importante, non risolutivo ma fondamentale per la cura dell’anima».
 

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