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La sentenza del Tribunale del Lavoro di Parma ha condannato il Teatro Due e un suo regista a risarcire due attrici per molestie e violenze sessuali. Una vicenda che impone una riflessione profonda sul fenomeno della violenza sessuale contro le donne, sulla sua diffusione e su quanto sia ancora radicata la cultura dello stupro e il suo immaginario. Una cultura che normalizza un crimine contro i corpi delle donne, colpevolizza chi sceglie di denunciare e troppo spesso riduce al silenzio la maggioranza delle vittime.
Secondo l’indagine ISTAT 2025, il 20,8% delle donne – pari a 4 milioni e 174 mila – ha subito una forma di violenza sessuale nel corso della vita. Oltre 3 milioni e 800 mila donne (19,2%) hanno subito molestie fisiche di natura sessuale, mentre stupri e tentativi di stupro hanno coinvolto circa 705.500 donne, ovvero il 3,5% del totale. Nonostante la gravità del fenomeno, solo una parte minoritaria delle donne sceglie di rivolgersi all’autorità giudiziaria. E quando l’autore della violenza è un uomo dotato di potere, visibilità o prestigio, il rischio di subire victim blaming — nei media come nelle aule di giustizia — cresce ulteriormente.
I Centri Antiviolenza, che accolgono donne da oltre trent’anni, sanno che la stragrande maggioranza delle violenze e dei ricatti sessuali è commessa da uomini conosciuti: partner, colleghi, datori di lavoro, amici, familiari. Solo una percentuale minoritaria riguarda sconosciuti. Eppure le politiche governative affrontano il problema con un’ottica securitaria o lo strumentalizzano per fare propaganda contro l’immigrazione. La violenza sessuale non è un’emergenza legata alla marginalità sociale o alla sicurezza delle strade, la realtà è un’altra: la violenza avviene nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli spazi quotidiani e viene agita nelle relazioni segnate da squilibri di potere.
Nella nostra regione, in pochi mesi, sono emersi due casi di violenza sessuale in luoghi che dovrebbero essere sicuri: un ospedale e un teatro. In entrambi i casi, due uomini con ruoli di potere hanno commesso violenze, protetti da una cortina fatta di prestigio sociale, collusioni e omertà. Denunciare, per le vittime, è stato estremamente difficile.
Samuela Frigeri, presidente del Centro Antiviolenza di Parma, dichiara:“La sentenza del Giudice del Lavoro di Parma è un passaggio che tocca nel profondo. Non solo per ciò che riconosce, ma per ciò che finalmente rompe. Rivela una verità che le donne conoscono da sempre: la violenza non ha confini. Entra nei luoghi che dovrebbero essere sicuri, persino nella cultura e nell’arte. Quell’arte che dovrebbe celebrare la libertà e che invece, troppe volte, diventa teatro di silenzi, abusi e poteri distorti. Questa decisione è un atto di giustizia, ma anche un gesto di fiducia nelle parole delle donne. Dimostra che il loro racconto può essere
ascoltato, creduto e sostenuto, anche quando si muove al di fuori dei percorsi spesso dolorosi della giustizia penale”.
Laica Montanari, presidente del Coordinamento regionale dei Centri Antiviolenza, aggiunge: “È importante essere vicine alle donne e garantire loro sostegno. Lo hanno fatto le associazioni Amleta e Differenza Donna e lo fanno da decenni i Centri Antiviolenza. Questa vicenda smaschera ciò che già conosciamo: la violenza sessuale è un fenomeno sommerso e scarsamente denunciato. Tutto ciò avviene mentre il Parlamento ha appena bloccato la riforma della legge sulla violenza sessuale che avrebbe spostato la centralità del reato sull’assenza di consenso, così come sarebbe urgente rafforzare gli strumenti di tutela per le vittime di molestie e ricatti sessuali nei luoghi di lavoro”.
Il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell'Emilia-Romagna ribadisce l’impegno quotidiano nel sostenere le donne e nel contrastare una violenza che è strutturale, non emergenziale, e che può essere affrontata solo attraverso riconoscimento delle sue dinamiche e delle radici culturali con responsabilità e politiche adeguate.
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