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Lavate poco la doccia! È un vivaio di virus buoni

Utili elementi batteriofagi scoperti su spazzolini da denti e soffioni

Lavate  poco  la doccia! È un  vivaio di virus buoni

04 Novembre 2024, 09:52

Dallo spazzolino da denti al soffione della doccia, il bagno si sta rivelando un vero e proprio «vivaio» di virus: sebbene ciò possa sembrare inquietante, è in realtà una buona notizia, perché si tratta in larghissima parte di virus cosiddetti «batteriofagi», che attaccano i batteri.
Lo studio dell’americana Northwestern University pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiomes, a partire da soli 34 spazzolini e 92 campioni raccolti dalle docce, ha scoperto oltre 600 specie di virus, molti dei quali sconosciuti. Ciò suggerisce che i nostri bagni potrebbero diventare delle preziose «miniere» da esplorare alla ricerca di virus da utilizzare nel trattamento delle infezioni batteriche resistenti agli antibiotici, uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale.
«Il numero di virus che abbiamo trovato è assolutamente incredibile», afferma Erica Hartmann, che ha coordinato i ricercatori. «Abbiamo identificato tanti virus di cui sappiamo molto poco, e molti altri che non avevamo mai visto prima. È sorprendente quanta biodiversità non sfruttata ci sia intorno a noi - dice la ricercatrice - e non devi nemmeno andare lontano per trovarla: è proprio sotto i nostri nasi».
Esaminando tutte le sequenze di Dna emerse da spazzolini e soffioni delle docce, gli autori dello studio hanno inoltre scoperto che ogni campione è unico: il mix di virus presente è diverso sia tra campioni provenienti dallo stesso bagno, sia tra quelli provenienti dalla stessa tipologia di oggetto.
I ricercatori puntano ora ad analizzare le caratteristiche di questi virus, per cercare di capire in che modo possono essere sfruttati.
«I microbi sono ovunque e la stragrande maggioranza di essi non ci farà ammalare - continua Hartmann - Più li attacchiamo con i disinfettanti, più è probabile che sviluppino resistenza o diventino più difficili da trattare: dovremmo semplicemente imparare a conviverci».

Parkinson e batteri
E proprio un batterio che ha origine nell'intestino, secondo le ultime ricerche, potrebbe avere un ruolo nell'insorgenza del morbo di Parkinson.
A suggerirlo uno studio della dell’Università della California Irvine, che evidenzia come i rifiuti prodotti dal batterio Escherichia coli nel tratto intestinale causano la formazione di aggregati proteici - chiamati aggregati di alfa-sinucleina - presenti anche nel cervello dei pazienti con Parkinson e ritenuti responsabili della malattia.
I risultati del loro lavoro sono stati pubblicati su ACS Chemical Neuroscience e ACS Chemical Biology. Il Parkinson è una malattia degenerativa caratterizzata da accumulo di proteine nel cervello, in particolare nelle aree di controllo motorio. Filamenti di alfa-sinucleina si aggregano e diventano tossici, uccidendo le cellule nervose che producono dopamina, un neurotrasmettitore importante.
«Ci sono prove che questi aggregati proteici responsabili di malattie possano viaggiare dall’intestino al cervello attraverso il nervo vago, che collega questi organi», spiegano gli autori del lavoro. «Quindi, se possiamo fermare la formazione di aggregati nell’intestino, c’è la possibilità che queste proteine non raggiungano il cervello e non causino il Parkinson. Ora che abbiamo scoperto come si formano questi aggregati, possiamo trovare modi per impedirne la formazione», aggiungono.
Il team di Irvine ha anche recentemente scoperto che un componente del caffè può impedire la formazione di aggregati proteici nelle cellule intestinali. Guarda caso, «altri studi hanno dimostrato che bere caffè riduce il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, e i nostri risultati fanno luce su come il caffè potrebbe esercitare la sua azione preventiva» spiegano.
Ora che le origini intestinali di questi aggregati proteici sono più chiare, gli scienziati stanno pianificando di tracciare con maggiore dettaglio il loro percorso: l’idea è etichettare le proteine con molecole bioluminescenti, tracciabili mentre si muovono nel corpo, e verificare se raggiungono i neuroni, che è il meccanismo proposto per arrivare dall’intestino al cervello», concludono.
red.sal.



Erica Hartmann
La giovane ricercatrice della Northwestern University ha coordinato lo studio. I virus scoperti potrebbero diventare un'arma contro la resistenza agli antibiotici.

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