Narrativa
Mentre è in corso, negli spazi del Complesso Monumentale della Pilotta, la grande mostra sui Farnese, tra architettura, arte e potere, Anna Zaniboni Mattioli è in libreria con un romanzo su Alessandro, il formidabile generale, temuto e amato, che fu duca di Parma, Piacenza e Castro e, insieme, assennato e accorto governatore dei Paesi Bassi cattolici, al tempo del sovrano Filippo II di Spagna. «Quel buio che ancora non è» (Tacuino, 192 pag., euro 19), tuttavia, racchiuso nella sua elegante veste editoriale, non racconta la biografia di Alessandro Farnese; ne evoca, piuttosto, la figura, le vicende, la memoria, e ne traccia il destino.
Il romanzo immagina, dopo la morte di Alessandro (1592), il viaggio intrapreso da Don Duarte Farnese da Roma a Parma. Duarte, ovvero il cardinale Odoardo Farnese (figlio d’Alessandro e fratello del duca di Parma Ranuccio I e di Margherita, poi suor Lucenia), vuole recare al fratello duca la notizia del siglato fidanzamento di Ranuccio stesso con Margherita Aldobrandini, nipote del papa, nientemeno. A questo proposito Duarte, che ha progettato il fidanzamento, cova in sé una segreta intenzione politica (che non dico), quasi fosse un discendente cadetto - e meno dannato - di Riccardo III di York. A questo scopo se n’aggiunge un secondo: parlare col fratello del progetto iconografico dei fasti d’Alessandro, che Duarte sta commissionando ad Annibale e Agostino Carracci nella «sala grande» (ubicata nell’angolo sud est) del palazzo Farnese a Roma.
Lì, infatti, verranno celebrate le nozze di Ranuccio e Margherita e le decorazioni dei Carracci avrebbero dovuto far da cornice. Duarte compie un viaggio «à rebours», sulle tracce del padre, che per lui sempre è stato un dio dell’altrove, dell’assenza.
Il viaggio a Parma si rivela dunque viaggio nel tempo, nella storia europea e familiare, tra segreti e glorie, risentimenti e vendette, fedeltà e amicizie, tradimenti edipici e rimorsi inconfessati. Pure, è un viaggio nei meandri della psiche e nei ricordi d’infanzia, profondi, sinuosi e scenografici come i corridoi dei palazzi. Un viaggio nel reale e nell’immaginario.
Una volta a Parma, rievocata in pagine che ne tratteggiano l’aura immortale (e archeologica), l’atmosfera raccolta e luminosa, che odora persino, a tratti, di Stendhal, la vicenda si sposta a Montechiarugolo, nel castello, in una dimensione araldica e metafisica, misteriosa e sospesa, ove Pomponio Torelli e Cosimo Masi rievocano con Duarte la vita di Alessandro, legata a filo doppio con la storia geopolitica, dalle vittorie più gloriose (da Lepanto alle Fiandre) al tracollo inglese della Invincibile Armata spagnola. Quale fu il ruolo del duca Alessandro in quest’ultima vicenda rovinosa? Quale il rapporto col cattolicissimo Filippo II, che aveva voluto punire Elisabetta della sua (secondo lui) eretica tracotanza? Ci fu chi tradì? E poi, in che misura fu tradimento? Quali le relazioni del duca governatore con i valloni? E con la borghesia ribelle e protestante fiamminga? Il romanzo storico di Anna Zaniboni Mattioli è costruito con metodo.
Dopo aver ripercorso gli eventi attraverso lo studio rigoroso delle fonti e aver steso la storia documentale nel suo progetto a mo’ di canovaccio, ne colma gli interstizi e le pieghe con la forza feconda della fantasia; anzi, là dove gli spazi sono troppo stretti, li allarga, aprendo finestre, stanze, insinuando nicchie, fattuali e psicologiche ad un tempo.
Per farlo, ha bisogno di uno strumentario ben fornito, che maneggia ormai (alla sua quinta prova narrativa) con sapienza. Innanzitutto, l’adozione di un narratore esterno, che entri finanche nei pensieri dei personaggi. In secondo luogo, un punto di vista interno fisso, che possa calare il lettore nella vicenda: la voce narrante si mette allora accanto a Duarte e lo segue sempre, vedendo, parlando e pensando con lui.
Fu Duarte, ad esempio, a veder partire Alessandro suo padre per il Nord, in una cupa sera d’inverno, avvolto da una neve che costruiva col suo corpo una statua di marmo gelido; un marmo suggestivo, certo, ma friabile come la sorte stessa del duca. Del resto, come scrive Giuseppe Bertini nella prefazione, l’Italia non fu del tutto grata ad Alessandro Farnese, mentre gli storici su di lui si dividono. Ma c’è dell’altro: il senso di Anna Zaniboni Mattioli per la pittura, genetico e culturale insieme. I dipinti, i disegni, qui, sono personaggi. S’incontrano i Carracci, i Pieter Bruegel (il Vecchio), i Girolamo Mazzola Bedoli e molti altri, testimoni attivi delle vicende umane, con i quali la prosa elegante, fine e limpida di Anna Mattioli instaura un corpo a corpo sottile, insinuante. Un rapporto con la pittura che non solo decifra e racconta, ma che si fa esso stesso scrittura; «ut pictura poesis».
Come si fa a non vedere, ad esempio, nella descrizione di Margherita (suor Maura Lucenia), una scrittura in debito sottile con la ritrattistica del Cinque-Seicento tra Sofonisba e Van Dyck? Ma soprattutto, perché il progetto dei fasti fallì? Anna Zaniboni Mattioli, dopo aver a lungo studiato e amato la figura d’Alessandro, dopo averlo cercato sui libri, tra gli archivi e sin dentro la sua tomba - come si vedrà in seguito (ma questa è un’altra storia e verrà raccontata un’altra volta) - restituisce la sua figura in altri fasti, diversi da quelli che i Carracci non ebber poi mai a dipingere, perché fatti di parole.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata