La domenica - L’occhio del Dragone
Nicole Eisenman «The Auction», 2025, oil on canvas and linen. Courtesy 52 Walker, New York.
New York
Questo spazio è una finestra per i non addetti ai lavori sulla scena dell’arte contemporanea a New York e tutto ciò che le ruota attorno. Studio visits, interviste,
recensioni… devo ancora capire che forma prenderà, ma l’obiettivo è avvicinarvi all’arte contemporanea di New York così come la conosco io.
Non sono un critico d’arte e non cercherò quindi di spiegarvi le opere che incontreremo: condividerò semmai le impressioni o le domande che mi suscitano. L’idea è portarvi in giro per New York, mentre voi siete seduti comodi in pasticceria a sfogliare la «Gazzetta» (che voglia di cannoncini… qui non li fa nessuno. Chi ha orecchie per intendere, intenda).
Faccio una premessa: sono artista, film-maker e curatore, quindi inevitabilmente di parte. Questo non significa che non sia critico o disilluso verso un sistema che, negli ultimi anni, ha mostrato alcuni suoi limiti. Censure, speculazioni, giochi di potere… il mondo dell’arte a New York a volte sembra una piazza di spaccio o meglio un salotto pericoloso, dove dissimulazione, logiche del profitto e retorica si scontrano con nobili premesse e intenzioni fragili. Il mondo dell’arte a New York non scherza: ci sono in ballo cifre enormi e un valore simbolico che in molti hanno cercato di imbrigliare o controllare.
Il sistema dell’arte e’ sempre meno uno spazio libero di sperimentazione. Agli artisti tocca essere più scaltri: sanno che questo gioco di relazioni è un campo minato. Si muovono in un ambiente dai tratti distopici, dove contano più gli eventi dei fatti, dove le narrazioni possono ribaltare intere carriere e dove bisogna imparare a dire le cose senza dirle.
Eppure, ci sono ancora artisti capaci di porre domande scomode, creando opere talmente splendide da riuscire a bypassare i sistemi di filtraggio o di censura. È il caso dell’ultima mostra di Nicole Eisenman, che affronta speculazione, mercificazione e violenza nel sistema dell’arte (e non solo) attraverso quadri bellissimi, dipinti con grande maestria e concettualmente sofisticati.
Ma sono pochi oggi gli artisti che possiedono una tale abilità di linguaggio e una raffinatezza di pensiero così profonda, capaci di dire senza dire e di chiedere senza aspettarsi una risposta. Nicole è sicuramente una di questi. Anche se al momento non ha una mostra a New York, mi sono imbattuto in un quadro della nuova serie di Josh Smith, che condivido volentieri. Credo sia destinato alla fiera di Miami.

Josh Smith è forse uno dei pittori di successo più sui generis di New York: un fenomeno, sia per il mercato, sia per la quantità e la varietà incredibili della sua produzione. Probabilmente uno dei pittori più esposti e seguiti del momento. È rappresentato da David Zwirner, la galleria più “potente” al mondo. (Lo prometto: vi farò scoprire anche le gallerie più sperimentali e di ricerca, ma questa è la settimana delle vernici blue-chip, delle case d’asta e dei grandi opening).
Anni fa in una delle sue prime mostre, allestita in un ristorante — credo cinese — scriveva il suo nome a caratteri giganti su ogni quadro, rendendo la firma stessa il soggetto della tela. Un approccio punk e poetico allo stesso tempo.
Oggi la sua carriera è esplosa: dalle collaborazioni con brand di moda alle mostre nelle più importanti istituzioni e gallerie del mondo.
Ho avuto l’occasione di parlargli di persona l’anno scorso, quando è venuto alla mia mostra. Pioveva a dirotto e, forse bloccato dalla pioggia, si è fermato a conversare a lungo. Un vero appassionato di pittura: analizzava ogni quadro degli artisti presenti con l’attenzione di un investigatore del Ris di Parma. Ogni tela, una scena del crimine. Osservava come erano montati, quanto colore, quali pigmenti; da vicino, da lontano… Era una collettiva, e guardava con la stessa intensità i quadri di artisti famosi e quelli di cui non conosceva l’autore. Si perdeva in ogni quadro senza soffermarsi su un semplice “mi piace / non mi piace”. Sembrava un bambino in un negozio di giocattoli.
Mi ha raccontato di quanto sono stratificati i suoi quadri. Continua a dipingerci sopra rifacendoli , cancellandoli , cambiandoli. Ogni suo quadro ne nasconde decine di altri che non vedranno mai la luce.
Essendo un carattere molto riservato, gli ho chiesto perché avesse deciso di aprire un canale social (che vi consiglio di seguire: @joshiejosho), dove mostra al pubblico il suo studio e condivide il proprio processo creativo. Mi ha risposto che vive un po’ come un eremita: solo in studio per intere giornate a combattere i propri mostri, isolato da tutto. Aprire una finestra sui social era l’unico modo che aveva trovato per sentirsi più vicino agli amici. Mi ha fatto riflettere. Sembrava sincero.
Ho scelto di farvi vedere questo suo quadro per raccontare questo scambio, ma forse anche perché, come ogni parmigiano, sono un ciclista. E New York, in bici, è davvero un’altra città.
NON E' TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA
di Vera Alemani @veraalemani Art advisor, fondatrice di Alemani Fine Art Advisory. Precedente vicepresidente di Sotheby’s Private Sales a New York, già socia e direttrice di Greene Naftali Gallery e Friedrich Petzel Gallery.
Negli ultimi due anni, il mercato dell’arte – in particolare quello contemporaneo – ha vissuto un riassestamento. La crescita esponenziale precedente, alimentata dall’interesse della finanza nell'arte come asset di investimento e dalla speculazione su artisti molto giovani, ha creato una discrepanza tra prezzi del mercato primario e i valori di rivendita.
Questa dinamica si è mostrata soprattutto nel mercato di autori emergenti. Fattori macroeconomici, come l'aumento dei tassi di interesse - che ha reso meno attraente l’utilizzo di prestiti garantiti da opere d'arte (art as collateral), hanno acuito la percezione di una crisi imminente, con la stampa che dipingeva scenari catastrofici. Poi, la sorpresa: la settimana scorsa, New York ha visto un novembre da record. Christie’s, Sotheby’s e Phillips hanno totalizzato 2,2 miliardi di dollari nelle Aste Serali con risultati straordinari: il Klimt della collezione Lauder venduto a 236 milioni, un Van Gogh a 62,7 milioni, Frida Kahlo a 54,7 milioni (record assoluto per un’artista donna all’asta). Anche nel contemporaneo, Cecily Brown (9,8 milioni) e Basquiat (48,3 milioni) hanno stabilito nuovi primati. Ma attenzione: questi risultati non riflettono appieno lo stato reale del mercato. La disponibilità di opere di tale qualità e rarità, provenienti da collezioni tra le più prestigiose dell’ultimo secolo, non si ripeterà facilmente per almeno un decennio. C’è però un chiaro spostamento d’interesse: gli acquirenti cercano capolavori museali moderni e blue-chip contemporanei. Si nota un raffreddamento della competizione sui giovanissimi a favore di artisti già affermati o storicizzati. Questi risultati si sono visti nelle evening sale, vetrine di marketing dove le garanzie delle case d’asta giocano un ruolo chiave e a tratti fuorviante.
Da professionista con oltre vent'anni di esperienza, ritengo questi risultati non essere rappresentativi di un mercato frammentato e da analizzare nel suo complesso. Un indicatore più affidabile è osservare ciò che accade nelle Day Sale, le aste diurne. Qui, centinaia di opere meno rare e prive di garanzie offrono un quadro più realistico. Nelle aste diurne, le case hanno adottato strategie conservative, riducendo le stime. Molte opere sono state vendute entro i valori stimati, confermando un ribasso dei prezzi rispetto agli anni precedenti: un segno di cautela, ma anche di opportunità per collezionisti attenti. In sintesi: al top, un mercato solido, attento alla qualità, alla rarità e con uno sguardo a lungo termine, meno manipolabile dai trend effimeri. Il mid market offre opportunità per artisti già affermati ma con potenzialità di crescita. Per un quadro completo del rapporto tra mercato primario e secondario, bisognerà attendere Art Basel Miami la prossima settimana, fiera cruciale per il settore delle Gallerie.
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