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Coda-I segni del cuore Gli ingredienti sono giusti, ma si sfocia nel «carino»

La ragazza che cercava la sua voce: affetti speciali nel paese dei sordi

In sala il film dell'Oscar, remake americano de «La famiglia Bélier»

La ragazza che cercava la sua voce: affetti speciali nel paese dei sordi

di Filiberto Molossi

05 Aprile 2022, 07:21

Lo dice a un certo punto il maestro di canto alla protagonista, rimproverandola: e, inconsapevolmente, centra il problema. «Stai cercando un suono carino». Che poi è quello che fa anche il film. Per comodità, per allargare la platea, perché a volte è più facile (ed è meglio) così. Che magari una sera ti metti il vestito della festa e ci scappa pure un Oscar. Anzi, tre. Poi per carità: la storia (già molto rodata e a prova di bomba: è il remake Usa del francese di successo «La famiglia Bélier») della ragazza, esclusa tra gli esclusi, che cerca la sua voce là dove nessuno ce l'ha, funziona, ha tutti gli ingredienti giusti (quel mix, solo un po' dramedy, di commedia, anche musicale, diversity e romanzo di formazione), si muove con grande disinvoltura tra affetti speciali e sogni di rivincita. Piuttosto, quello che manca è un po' di carta vetrata, di spigoli, di polvere, di cocci di vetro su strade mai dritte: arrivati fin qui, valeva la pena farlo più ruvido, più indie. O solo un po' meno «carino».


Prodotto Apple prima acclamato al Sundance e poi addirittura alla notte delle stelle (dove ha vinto l'Oscar per il miglior film e quelli per la sceneggiatura non originale e per l'attore non protagonista, andato al non udente Troy Kotsur, bravissimo), «Coda-I segni del cuore» racconta della liceale Ruby, interprete e àncora di salvezza per padre, madre e fratello, sordi dalla nascita. Imprigionata in una vita che non le piace, alla ricerca della propria identità (e libertà), trova la sua vocazione nel canto: il suo grande talento potrebbe farle guadagnare una borsa di studio e portarla lontano. Ma a quel punto chi penserà alla sua famiglia?
Nella capacità inclusiva del sentimento, di un linguaggio del corpo che va oltre l'ipocrisia pietista delle parole, la regista Sian Heder (tra gli sceneggiatori della serie «Orange is the new black») gira un film sul comunicare: che è roba complicata e non perché si studi all'università, ma perché è qualcosa che ha a che fare con l'esprimersi, con il capirsi al primo sguardo, con il desiderio (sempre attualissimo e urgente) di oltrepassare i muri, di superare le barriere, di stabilire un contatto. Udenti e non udenti, genitori e figli, maestro e allieva, fidanzati: smussati gli angoli di un'incomunicabilità persistente a vari livelli, l'autrice, fatta sua un'idea originale, coglie con sensibilità il punto di vista della disabilità, in un film che sa essere toccante nel cercare la lingua che le unisce tutte, l'idioma universale dell'amore.
Il limite, se vogliamo, è che «Coda» (il titolo è l'acronimo che indica un «figlio udente di genitori sordi») non è un film per il domani: ma per accontentarsi di un oggi in cui si pensa (erroneamente) di potere fare a meno di molte cose: cinema compresi.

Filiberto Molossi

© Riproduzione riservata

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