MONDO PICCOLO
Anche per Giovannino Guareschi le feste natalizie erano qualcosa di sacro e irrinunciabile così, mentre il Natale era già passato e il nuovo anno ancora di là da venire, la fantasia inarrestabile di Giovannino immaginava don Camillo animato dai migliori propositi ideare un piano ben preciso in vista del cenone di San Silvestro: «Don Camillo aveva studiato un grandioso programma di festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno.
Un programma grandioso ma assai semplice in quanto poteva essere riassunto in queste poche parole: “A Capodanno, un pollo nella pentola di ogni poveretto”.
E così, don Camillo aveva prudentemente messo le mani avanti iniziando il suo giro di raccolta due buone settimane prima della fine d’anno.
Ogni aia era stata visitata: ogni proprietario, ogni affittuario, ogni mezzadro della parrocchia aveva ascoltato con molta attenzione la parola di don Camillo e nessuno aveva mancato di lodare, alla fine, la nobile iniziativa del parroco.
Disgraziatamente in molte aie la moria aveva fatto strage nei pollai, in altre il gravame dei “pendizi” di Natale aveva ridotto all’osso la polleria, e in altre ancora la poca polleria disponibile era già stata venduta. Conclusione: il giorno 30 di dicembre don Camillo si trovò ad aver racimolato a stento, oltre i suoi due polletti, sei pollastri il più in carne dei quali pareva lo Smilzo travestito da gallina. E a don Camillo ne occorrevano, come minimo, trenta».
Nobilissimo il programma del pretone guareschiano, molto meno nobili le reazioni di chi si era ben guardato dal donare almeno un pollastrello al parroco che, così, va a lamentarsi con il Crocifisso: «“Gesù, è credibile tanto egoismo? Cos’è mai un pollo per chi ne ha tanti?” “È un pollo” rispose mestamente il Cristo. Don Camillo spalancò le braccia: “Gesù” esclamò indignato “è mai possibile che la gente non comprenda la bellezza di un piccolissimo sacrificio che può procurare così grande gioia?” “Don Camillo, per troppa gente ogni sacrificio è sempre grandissimo, a troppa gente interessa, soprattutto, la propria letizia. E, per troppa gente, il non dare il superfluo è letizia”». Un’amarissima considerazione, quella del Gesù di Mondo piccolo: anche per chi possiede molto, donare il superfluo è un sacrificio troppo grande, mentre il pretone della Bassa, che ha le mani grandi come il suo cuore, vorrebbe che tutti potessero godere almeno di un momento di felicità, nel festeggiare l’anno che inizia. Ma Guareschi poteva far arrendere don Camillo? Assolutamente no. E, così, ecco arrivare improvvisamente, la soluzione del problema, pur se in modo non del tutto «canonico»: «[…] don Camillo non intendeva rinunciare al suo programma: “A Capodanno un pollo nella pentola d’ogni poveretto”. Stava rodendosi il fegato per scoprire una qualsiasi soluzione del complicato problema, quando gli si affacciò alla mente una domanda: “Un pollo è un pollo: e sta bene. Però: cos’è un fagiano? Non si potrebbe, per esempio, dire: il fagiano è un pollo che vola?” Don Camillo concluse che, in fondo, il programma dei festeggiamenti non avrebbe sostanzialmente cambiato se lo slogan invece di suonare: “A Capodanno, un pollo nella pentola d’ogni poveretto” fosse stato puntualizzato in: “A Capodanno, un fagiano nel tegame d’ogni poveretto”».
Servivano la bellezza di ventidue fagiani e, di qui al prendere il piccolo «flobert» per non fare rumore e convincere un nobile cane da caccia come Ful ad accontentarsi dello schioppetto anziché della doppietta, il passo è brevissimo e il parroco, naturalmente infagottato in un pastrano, si ritrova in una riserva di caccia dove: «I fagiani se ne stavano appollaiati sui rami delle piante più basse, quasi completamente rimbambiti. Erano tre anni che i Finetti si trovavano all’estero e, da tre anni, nessuno aveva sparato una fucilata in tutta la riserva. A ogni “plik” dello schioppetto corrispondeva il tonfo di un fagiano e, pur dovendo perdere un sacco di tempo nella ricarica, don Camillo fece un eccellente lavoro e arrivò al ventunesimo fagiano liscio come un olio. Il ventiduesimo fu quello che gli diede molti dispiaceri. Ful aveva già dato segno di irrequietezza e ciò significava che qualcosa non funzionava e non si trattava di fagiani o di lepri. Ma don Camillo voleva arrivare ai ventidue polli volanti e disse a Ful di non rompere l’anima e di star tranquillo. Ful obbedì a malincuore ma, proprio mentre don Camillo stava sparando al ventiduesimo fagiano, ebbe uno scatto. Don Camillo capì di aver esagerato, però era troppo tardi. Il guardiacaccia stava arrivando. Buttò lo schioppetto in un cespuglio e, agguantato il sacco coi ventun fagiani, partì a tutta birra».
Occorre dire, qui, che allora i guardiacaccia avevano la maledetta abitudine di impallinare i bracconieri e così, senza pensarci due volte, la doppietta del guardiacaccia sparò. Don Camillo e Ful, sgattaiolati fuori da un buco nella recinzione, si ritrovarono in strada dove, per loro fortuna, stava passando il camion di Peppone che, intuendo la situazione, prese a bordo cane e cacciatore di frodo, portando don Camillo dal vecchio medico di Torricella per farlo «spiombare», prima di recapitarlo in canonica con il sacco del «polli volanti»: «Uscito Peppone, don Camillo tirò il catenaccio della porta e andò in cantina a sistemare i ventun polli volanti. I quali risultarono in effetti ventidue perché, tra essi, c’era anche un meraviglioso cappone già bell’e spennato e pulito. Ed era quello che Peppone aveva comprato a Torricella per completare il numero».
Tutto bene, dunque? Manca all’appello la voce del Cristo, cui don Camillo confessa il malfatto: «“Gesù, il mio cuore è pieno d’angoscia perché mi rendo conto del male che ho commesso.” “No, don Camillo: tu menti. Il tuo cuore è, invece, pieno di gioia perché pensi alla felicità che tu darai domani ai trenta poveretti.”».
È l’umanità di quel Cristo capace di sorridere, l’umanità di Guareschi e il desiderio che, davvero, il Capodanno fosse festa per tutti.
Egidio Bandini
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