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IL SEQUESTRO ONOFRI

Raimondi, l'uomo che sfilò Tommy dal seggiolone è libero. L'amarezza di Paola Pellinghelli: «Noi condannati a vita»

Raimondi, l'uomo che sfilò Tommy dal seggiolone è libero. L'amarezza di Paola Pellinghelli: «Noi condannati a vita»

di Georgia Azzali

30 Agosto 2025, 03:01

Mario Alessi, la compagna Antonella Conserva, e lui, il terzo della banda: Salvatore Raimondi, il ragazzo che ogni tanto amava salire sul ring, tirare di boxe per passione, e che quella sera del 2 marzo 2006 sfilò Tommy dal seggiolone nella casa di Casalbaroncolo lasciando l'impronta decisiva sul nastro adesivo con cui fu legata tutta la famiglia. Ma fu anche l'uomo della svolta, un mese dopo: il primo a confessare che erano stato lui e Alessi, con la complicità di Antonella Conserva, a organizzare il sequestro di Tommaso Onofri. E a rivelare l'orrore, perché il bambino, 18 mesi ancora da compiere, era stato ucciso. Raccontò che fu Alessi a colpire il piccolo con una vanghetta e a soffocarlo in via del Traglione, quando lui se ne era già andato.

Sono passati poco più di 19 anni da quel 1 aprile 2006, quando tutti e tre furono arrestati, e ora Raimondi è un uomo libero. E' uscito dal carcere di Forlì nelle scorse settimane: condannato a 20 anni (con rito abbreviato) «solo» per il rapimento di Tommy, aveva già finito di scontare la pena nel 2022, ma era rimasto in carcere perché nel 2018 era stato condannato in via definitiva a 3 anni e mezzo per estorsione nei confronti di un altro detenuto: l'accusa, che ha sempre respinto, era quella di aver messo in piedi, insieme a un complice, un giro di gioco d'azzardo, con tanto di minacce a chi non pagava, quando era rinchiuso a Ferrara. A parte un semestre, proprio per la vicenda della bisca in carcere, Raimondi ha potuto beneficiare di tutti gli sconti previsti dalla «liberazione anticipata». E già dalla primavera dello scorso anno era in semilibertà: usciva la mattina dal carcere per andare a lavorare come operaio in una ditta di Forlì e rientrava la sera.

La vita che continuerà a fare, almeno per ora. E nessuna intenzione di tornare a vivere a Parma, così pare. Anche perché nel 2016 si è sposato in carcere con una detenuta, che deve ancora finire di scontare la sua condanna. «E' passato dalla semilibertà alla libertà. Durante la pena, per sua scelta, non ha mai voluto richiedere permessi premio», si limita a dire il suo difensore Marco Gramiacci.

Quasi vent'anni di carcere. Era un ragazzo, nel 2006, con qualche lavoro saltuario, che ogni tanto amava infilare i guantoni. Ora Raimondi ha 46 anni e ancora gran parte della vita davanti. Ma chi è oggi? Preferisce non parlare di sé. Di ciò che è stato e di cosa, vero o falso che sia, è avvenuto in lui. Chi ha avuto modo di incontrarlo dietro le sbarre, parla di un uomo che. dopo i primi anni, ha affrontato con convinzione un profondo percorso di rieducazione. Avrebbe rivisitato il suo passato, l'orrore di un crimine tanto terribile quanto insensato. Un (ex) detenuto apprezzato sul lavoro, così si dice. Ma solo lui sa quanto e se è diverso dal Raimondi del passato.

Era stato il complice del sequestro. Quella sera di marzo del 2006, insieme ad Alessi, caricò il piccolo Tommy sullo scooter e andò in via del Traglione. Subito dopo l'arresto, il 1° aprile, l'avevano interrogato una decina di volte. Raimondi aveva parlato, risposto, puntualizzato: e raccontato di un piano che cambiava ogni giorno, di un riscatto da 5 milioni euro, di Alessi che si vantava dell’amicizia con il padre di Tommaso, di un omicidio a cui non voleva credere finché non è stato trovato il corpo del bambino, sepolto a pochi passi dall'argine dell'Enza. Ma il perché di quel sequestro rimane un mistero. «Pensavo che Alessi volesse fregarmi, che mi avesse detto che lo aveva ucciso solo per tenersi tutti i soldi. Quando me ne sono andato via, era ancora vivo», ha sempre sostenuto. Il giorno dopo, però, Alessi lo aveva chiamato fissando un incontro: «Mi ha raccontato di averlo strangolato. Mi ha detto: l’ho ammazzato perché il bambino era diventato pericoloso», aveva spiegato Raimondi agli inquirenti.

Non ha mai tentennato nemmeno su Antonella Conserva, allora compagna di Alessi. Fu lei, secondo l'ex pugile, a cucire i passamontagna per quella sera. E fu a lei che lui telefonò subito dopo aver lasciato Alessi in via del Traglione. La donna che avrebbe dovuto prendere in consegna il bambino, secondo l'accusa. Ma quando squillò il telefono, Tommy era già stato ucciso. Forse perché aveva «osato» piangere.

I complici La banda nata in famiglia
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Lo portarono via la sera del 2 marzo 2006, mentre era nel suo seggiolone davanti al tavolo della cucina, e lo uccisero subito dopo nel boschetto di strada del Traglione. Tommaso Onofri sparì mentre tutta la famiglia era a cena nella casa di Casalbaroncolo: oltre al piccolo, 18 mesi non ancora compiuti, c'erano il fratello Sebastiano, 8 anni, la mamma Paola Pellinghelli e il padre Paolo. Mario Alessi, muratore siciliano, venuto dal Sudcon una condanna alle spalle per aver violentato a San Biagio Platani una ragazza davanti al suo fidanzato, conosceva bene il casolare, perché per mesi ci aveva lavorato facendo degli interventi di ristrutturazione. Ed è lui a far saltare la corrente, manomettendo l'interruttore. Salvatore Raimondi, qualche lavoro saltuario, è l'altro della banda che quella sera, poco prima delle 8, entra in casa: è lui che prende Tommy dal seggiolone, mentre Alessi va fuori a recuperare lo scooter.

Poi comincia la corsa nel buio. E verso l'abisso di ciò che accadrà a pochi chilometri di distanza da Casalbaroncolo. Davanti alla sbarra di via del Traglione Raimondi fa scendere Alessi. E' quello infatti il punto in cui deve arrivare in auto Antonella Conserva, la compagna del muratore, per caricare in macchina Alessi e il piccolo Tommy, per il quale, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, era già stato trovato un rifugio in montagna, tra Selva Castello e Selva del Bocchetto.

E in via del Traglione le strade e le verità di Raimondi e Alessi si dividono: sempre uno contro l'altro, accuse e controaccuse. Ma c'è quell'unica crudele certezza: Tommy viene ritrovato il 1° aprile sotto un cumulo di terriccio nel boschetto di via del Traglione. E i giudici hanno sempre ritenuto Raimondi credibile, condannandolo a 20 anni con rito abbreviato, ossia con lo sconto di un terzo della pena, per sequestro di persona con morte non voluta dell'ostaggio. Stesso reato contestato ad Antonella Conserva, che però aveva scelto il rito ordinario, dichiarando fin dall'inizio di non sapere nulla del piano organizzato dal compagno e da Raimondi. Ma per i giudici non solo sarebbe stata a conoscenza di tutto, ma fu lei «la mente del sequestro»: condannata in via definitiva a 24 anni, dopo una prima condanna in appello a 30, poi annullata con rinvio dalla Cassazione, ha ottenuto quei sei anni in meno grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche perché incensurata. A 51 anni, dopo aver ottenuto vari permessi premio per uscire dal carcere di Mantova e poi la semilibertà, sta finendo di scontare la pena.

Infine, Alessi, oggi 65enne. Condannato all'ergastolo per il sequestro e l'omicidio di Tommy, sta per maturare il numero di anni sufficiente per ottenere la semilibertà. Tuttavia, nel suo caso i parametri sono più rigidi, trattandosi di un cosiddetto «ergastolo ostativo». Inoltre, dopo essere entrato in carcere era diventata definitiva la condanna per calunnia per aver coinvolto la madre e il fratello della Conserva: lei sarebbe stata a conoscenza del piano per il sequestro e lui avrebbe anche partecipato ad alcuni sopralluoghi. Così parlò Alessi. Accuse infondate, per i giudici.

La reazione La mamma di Tommy
Paola Pellinghelli: «Si goda la vita, noi condannati»
La guardi, e ti chiedi come abbia fatto a rimettere insieme i pezzi della sua vita. Ma la deflagrazione di quella sera del 1° aprile 2006, quando le dissero che suo figlio era morto, risuona ancora. Una fitta sordida, che si fa sentire all'improvviso. Eppure, Paola Pellinghelli, la mamma di Tommy, sa ancora sorridere. Ironizzare anche su se stessa. Ma i tre che parteciparono al sequestro del suo bambino, poi ucciso e sepolto sotto un po' di terra in via del Traglione, restano «tutti dei delinquenti». Non c'è distinzione di ruoli, nonostante le diverse accuse: tutti complici dell'orrore. «Raimondi libero? Prima o poi me l'aspettavo, visto che era già in semilibertà. Che si goda la sua vita, noi invece siamo condannati per sempre», dice.

Lei ha continuato a lavorare alle Poste, ha cresciuto da sola l'altro figlio, Sebastiano, oggi 27enne, dopo la morte del marito nel 2014. «Vado avanti giorno dopo giorno, come posso, e ogni tanto mi chiedo come ho fatto. A nessuno dei tre auguro del male: se sono credenti, faranno i conti con Dio. Ma non voglio sentire parlare di perdono».

Non ha mai vacillato, Paola Pellinghelli. Perché chi le ha portato via Tommy, è scomparso dal suo mondo. Cancellato. Nemmeno degno di essere ricordato. «Per me loro tre non esistono come persone», ha ripetuto più volte in passato. E mai più vuole incrociare i loro sguardi. «Non si permettano di venirmi a cercare - dice -. Se fossi in loro, non riuscirei a vivere con il peso di ciò che hanno fatto, ma non credo siano pentiti».

E l'atteggiamento non è diverso nemmeno per Raimondi, nonostante sia l'uomo che per primo ha rivelato ciò che è accaduto e che, secondo la sentenza che l'ha condannato a 20 anni, non sia stato lui a uccidere Tommy. «Per me sono tutti e tre sullo stesso piano. Non perché ha aiutato la giustizia, è diverso dagli altri, meno responsabile».

Nella sua mente c'è sempre Tommy con i riccioli biondi e gli occhioni azzurri. Il ricordo del bambino che era prima di quella sera. E' come se volesse preservarlo dalla violenza dei suoi rapitori. Lo protegge anche così quel piccolo strappato dal seggiolone mentre tutta la famiglia era a tavola. C'erano suo marito e l'altro figlio, Sebastiano, che ha lottato tra dolori e ricordi, ma si è laureato in Scienze motorie e sta facendo la sua strada. Il 6 settembre prossimo Tommy avrebbe compiuto 21 anni. «A mio figlio penso tutti i giorni. E sono convinta, anche se qualcuno può pensare che io sia un po' folle, che mi mandi dei segnali, come quando la sua spada giocattolo si mette a suonare senza che nessuno l'abbia toccata. Mi piace anche pensare che mio figlio possa aiutare chi ha bisogno: recentemente mi ha chiamato un signore di Varese e mi ha raccontato che aveva visto Tommy poco prima di uscire dal coma».

«Diranno che sono un po' matta», ripete sorridendo. No. Diranno che chi è naufragato in un mare di sofferenza ha diritto al conforto. A pensare che il sacrificio di un figlio non sia stato inutile.

Ecco come funziona la «liberazione anticipata»
Quei tre mesi di sconto all'anno
Si chiama «liberazione anticipata». Tradotto: sconto di pena. Ed è la legge che lo prevede, ben intesi, già dal 1975 con la riforma dell'ordinamento penitenziario. In concreto, significa che per ogni semestre di pena scontata, il detenuto che abbia dato prova di aver partecipato a un percorso rieducativo ha diritto ad avere una detrazione di 45 giorni sulla pena complessiva. Anche in custodia cautelare o se si è ai domiciliari, la si può avere. In altri termini, chi ha una buona condotta e mostra di volersi riabilitare può arrivare a uno sconto di 3 mesi all'anno.

E' ciò che ha ottenuto Salvatore Raimondi, così come tutti i detenuti che ne facciano richiesta e che dimostrino di avere i requisiti per ottenere questo beneficio. In particolare, l'ex pugile, condannato a 20 anni per aver partecipato al sequestro di Tommaso Onofri, ha goduto della liberazione anticipata per quasi tutto il periodo di carcerazione, se si esclude quel semestre in cui era stato accusato di estorsione, e poi condannato, per quel giro di gioco d'azzardo organizzato all'interno del carcere di Ferrara.

Dal 2022, inoltre, la liberazione anticipata, di cui già potevano godere anche i detenuti in semilibertà, è stata estesa a chi è in affidamento in prova, ossia a chi è uscito dal carcere dovendo scontare ancora un residuo di pena oppure a chi non ci ha mai messo piede, dovendo espiare una pena entro i 4 anni.

Georgia Azzali

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