Intervista
Sabato sera, a partire dalle 19.00, al Teatro alle Tese, per la Biennale di Venezia, ci sarà anche un po’ di Parma visto che la musicista Agnese Menguzzato (della quale sarà presentato il brano «Undici») ha compiuto la parte più accademica della sua formazione musicale al Conservatorio «Arrigo Boito».
Come si è avvicinata alla musica?
«Sicuramente per merito dei miei genitori: mia madre mi cantava delle canzoni medievali per farmi dormire. Faceva parte di un coro che affrontava questo repertorio con il maestro Adolfo Tanzi. Sempre lei, quando avevo cinque anni, mi aveva incoraggiata a fare una scuola di paese, a Sant’Ilario d’Enza (dove vivevo), nella quale suonavo lo xilofono e cantavo: ci insegnavano anche le note in modo un po’ all’acqua di rose. Quando ho compiuto otto anni, mi ha spinto a fare il conservatorio, ma non sapevo neanche cosa fosse. Volevo studiare pianoforte, ma poi mi hanno indirizzato verso il violino che ho studiato poi per quasi dieci anni. Ho sempre coltivato il canto, in coro con il maestro Burzoni che a volte mi sceglieva come solista quando avevo undici o dodici anni. Cercavo spesso pezzi nuovi o presi dal repertorio del coro di mia madre. Da lì ho incominciato anche a suonare il pianoforte per conto mio e ho pensato di fare qualcosa che rappresentasse la mia musica. Dopo una piccola pausa mi sono iscritta al conservatorio, ancora per liuto, quando avevo 21 anni e l’ho studiato per otto anni. Nel frattempo mi sono approcciata anche alla musica elettronica. Mentre facevo l’università ho scaricato il software di produzione musicale Ableton Live e giocando ho trovato un mio linguaggio».
Quali sono stati gli autori e i generi che l’hanno influenzata di più?
«Immagino che mi abbia influenzato un po’ tutto quello che ho ascoltato, ma quelli che durante l’adolescenza mi hanno dato delle “epifanie” sono stati Joni Mitchell e Nick Drake, ma anche la musica antica: mi piaceva ricercare gli spartiti di Ildegarda di Bingen per cantarmeli da sola, accompagnandomi con il pianoforte. Devo aggiungere anche De André che ascoltavano sempre i miei. Devo dire che si tratta principalmente di musica non elettronica».
Cosa porterà a Venezia?
«Alla Biennale presenterò una performance cosiddetta “site-specific”, pensata appositamente per quel luogo. Venezia è la città nella quale nel 1507 si è dato il via agli spartiti per liuto, con l’editore Ottaviano Petrucci che ha pubblicato le prime raccolte a stampa di intavolature. Farò un pezzo con la mia chitarra elettrica a otto corde (che ho comprato un paio di anni fa per sopperire alla mancanza di un liuto) perché è meno fragile e più semplice da utilizzare, anche riguardo all’amplificazione e agli effetti che posso creare facendone passare il suono dal mio computer».
Com’è nata questa collaborazione con la Biennale?
«È nata per caso. Vivo a Berlino da quattro anni e prima di concentrarmi, un paio di anni fa, sul mio progetto ho suonato con altre persone. Sono sempre stata chiamata a suonare in qualche festival o evento. Un giorno stavo suonando in un bar con un bell’impianto e per caso c’era un ragazzo che si occupa della selezione artisti per il Silent Green di Berlino, un ex forno crematorio riqualificato in spazio per eventi culturali. Mi ha invitato a suonare là più di una volta e lo scorso dicembre, nella sala più grande, ho aperto il concerto di Alessandro Cortini. In quell’occasione era presente anche Caterina Barbieri che è la direttrice artistica della Biennale Musica che mi ha scritto su Instagram per farmi i complimenti. Dopo un paio di mesi ci siamo incontrate e mi ha invitata alla Biennale».
Giulio A. Bocchi
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