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«Don Giovanni» di Lucio Battisti

di Michele Ceparano

25 Giugno 2021, 05:12

Ha compiuto trentacinque anni «Don Giovanni», primo album di Lucio Battisti in collaborazione con il paroliere Pasquale Panella e, soprattutto, secondo senza Mogol. Tre anni e mezzo prima quello che è stato uno dei più grandi musicisti italiani ci aveva provato con «E già» con testi scritti da Velezia, pseudonimo della moglie Grazie Letizia Veronese. Ma «Don Giovanni», titolo dall'eco mozartiana, rappresenta sicuramente un'altra svolta che, a cadenza biennale, continuerà con altri quattro lavori, fino al 1994, quando uscirà «Hegel», l'ultimo lavoro e sorta di testamento di Battisti, che scomparirà nel '98.

Gli album con Panella divisero fan e critica, ma rappresentano un capitolo molto interessante della storia della canzone d'autore italiana. Questo disco, come quelli che seguiranno, è sicuramente d'avanguardia, sia dal punto di vista musicale (l'uso massiccio dei sintetizzatori) che, soprattutto, testuale. I brani - che da questo momento in poi saranno sempre otto per ogni album - scritti da Panella sono, infatti, quanto mai evocativi e dirompenti. Oltre che, quasi sempre, criptici. In un certo senso, va in scena il trionfo della parola e del suo suono. Il Battisti «nazionalpopolare», ancorché leggendario, rappresenta ormai una storia passata.

La parola viene a essere il fulcro di tanti pezzi come dimostrano alcuni straordinari "giochi" (solo due esempi: il «dolce tedio a sdraio» e «i lungomai» in «Le cose che pensano», brano d'apertura) e doppi sensi utilizzati da Panella. Se questo pezzo era, in un certo modo, struggente, «Fatti un pianto» è un trattato d'amore e di cucina («se sbatti un addio/c'esce un omelette»). Anche ne «Il doppio del gioco» proseguono le acrobazie di Panella, mentre «Madre pennuta» ha sicuramente dei momenti di genio assoluto come «Madre pennuta, il mio morbidio, mia pelle d'oca, cuscino mio». Ci sono poi «Equivoci amici», tanto suggestiva quanto sottovalutata e la title-track, «Don Giovanni», orecchiabile e autobiografica («l’artista non sono io/sono il suo fumista»). Non a caso è il «cuore» del disco  e tra i momenti più riusciti, e forse anche apprezzati, del nuovo corso, quello delle copertine bianche. C’è ancora spazio per «Che vita ha fatto» e i suoi rimandi jazz e la sperimentale «Il diluvio». Trentacinque anni dopo, in fondo, «Don Giovanni» è ancora da scoprire.

Da Youtube Lucio Battisti - Don Giovanni

 

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