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Scooter: la guerra è già dimenticata. E gli italiani riscoprono l'ebbrezza delle due ruote

15 Ottobre 2019, 05:50

Negli anni Cinquanta si dividono il popolo dei neomotorizzati
creando una contrapposizione quasi filosofica.
Una è il mito indiscusso della Milano operaia,
’altra si crogiola nella “dolce vita”
in compagnia di Gregory Peck e Audrey  Hepburn

di Luca Pollini
Vespa e Lambretta nel dopoguerra dividono il popolo dei neo-motorizzati creando una contrapposizione quasi filosofica. È una vera sfida, senza esclusioni di colpi. I due scooter hanno un incredibile successo perché, appena terminata la guerra, il parco vetture è completamente distrutto e la Vespa e la Lambretta sono gli unici mezzi quasi alla portata di tutti.


Tutti e due sono concepiti da ingegneri aeronautici (Corradino D’Ascanio disegna la Vespa nel 1946, Pier Luigi Torre risponde con la Lambretta l’anno dopo), una paternità che si riflette nelle soluzioni tecniche: facilità e comfort nella guida grazie alla posizione seduta e non a cavalcioni, possibilità di avere la ruota di scorta e, soprattutto, il lusso di andare in moto senza coprirsi di polvere o imbrattarsi d’olio grazie alla protezione offerta dallo scudo. La Vespa è più raffinata ed elegante, la Lambretta è forse un po’ più grezza, ma sicuramente più resistente e potente, ed è identificata con la Milano che lavora: al Nord si gira in Lambretta (i milanesi doc ce l’hanno tutti) che ha un aspetto sicuramente più industriale e meno contadino; da Roma in giù si preferisce la Vespa, simbolo di scampagnate, gite fuori porta e Dolce Vita.
Alla fine degli anni Cinquanta Piaggio e Innocenti intuiscono l’enorme potenzialità del mercato e dopo avere motorizzato impiegati e operai, ai quali non pareva vero di affrancarsi dalla schiavitù dei mezzi pubblici e dalle fatiche sui pedali, cercano di sedurre i giovani, un mercato nuovo e ancora inesplorato. E se l’Innocenti punta sullo sport, la Lambretta è la moto di servizio alle Olimpiadi di Roma del 1960, la Piaggio è la prima a intuire l’importanza del “testimone”, sfruttando la popolarità che le ha dato il cinema.

Un’immagine su tutte, la leggendaria scena in Vacanze romane dove Gregory Peck e Audrey Hepburn sfrecciano tra Colosseo e piazza di Spagna. Nei primi anni Sessanta la rivalità è alle stelle e i due scooter raggiungono il picco di vendite. Le divisioni tra gli estimatori sono nette, non ci sono mezze misure né punti d’incontro: così come chi sta con Mazzola non sta con Rivera; chi tifa Coppi non sopporta Bartali; i fan di Sofia Loren detestano Gina Lollobrigida; chi ascolta Gianni Morandi non compra i dischi di Massimo Ranieri, chi sale su una Vespa non acquisterà mai una Lambretta, piuttosto va a piedi. E viceversa. 
Verso la metà degli anni Sessanta, però, arrivano le prima avvisaglie che il boom sta per finire e nel 1964, per la prima volta, le auto sono più vendute degli scooter e l’utilitaria comincia a rodere clientela. Piaggio è la prima a capire che bisogna trovare subito nuove fasce d’utenti e prende in considerazione i quattordicenni. Ai nuovi interlocutori e potenziali acquirenti la casa di Pontedera propone uno scooter agile, leggero, di 50 cc, l’unico due ruote che si può guidare senza patente. Il “Vespino” – com’è stato subito ribattezzato – è il premio ideale per chi supera l’esame di terza media, il mezzo perfetto per girare in due e andare dove si vuole. Il successo è clamoroso e per la Lambretta è un colpo da K.O. poco ci manca. Le vendite della Vespa 50 hanno di fatto risollevato da sola la Piaggio dai danni provocati dall’alluvione che ha colpito Pontedera a fine anni Sessanta; un modello talmente miracoloso che convince i vertici dell’azienda di puntare ancora al mercato dei “cinquantini”: e poco dopo viene presentato il Ciao (tre milioni e mezzo di pezzi venduti in venticinque anni), altro mezzo che ha rivoluzionato il trasporto.


L’Innocenti cerca di correre ai ripari e presenta l’anno dopo una Lambretta 50. Ma commette un errore: al fine di semplificare la costruzione della telaistica e ridurre i costi di produzione, il cinquantino della casa di Lambrate adotta una carrozzeria portante, simile a quella utilizzata dalla Vespa, solo esteticamente più brutta. L’accoglienza è a dir poco timida. Ormai la Vespa ha preso il sopravvento e l’Innocenti si gioca l’ultima carta. Nel 1968, periodo in cui “capire” esattamente chi sono e cosa vogliono “i giovani” è un’impresa quanto mai difficile, affida a Nuccio Bertone, il carrozziere più in voga del momento il progetto per un nuovo scooter indirizzato a teenagers. Bertone ne disegna uno dalla linea essenziale e aggressiva, con colori vivaci e motore a vista: lo battezzano Lui e costa solo 89.500 lire, un prezzo aggressivo visto che la rivale Vespa 50 costa 107.000 lire.
Il Lui è senz’altro innovativo e, in alcune parti, persino rivoluzionario (prevede persino il miscelatore automatico) ha un design che oggi definiremmo minimalista ma che all’epoca è considerato spartano e povero e subisce non poche critiche. In un anno sono venduti 37mila esemplari: tradotto in termini industriali un flop clamoroso, tanto che l’Innocenti decide di sospendere la produzione. Solo oggi, a distanza di più di quarant'anni, si può comprendere come l’unico difetto del Lui sia stato quello di aver precorso i tempi: perché visto da vicino sembra parecchio più attraente della maggior parte degli scooter oggi in circolazione. Il fiasco del nuovo progetto e il lungo autunno delle lotte sindacali di fine decennio, fanno sì che Luigi Innocenti, il figlio che ha preso le redini dell’azienda dopo la morte di Ferdinando, decida di chiudere i battenti nel 1971. 

La rivale Piaggio, invece, continua a mietere successi e lancia la Vespa Primavera 125, che è considerata tutt’oggi un esempio di eleganza estetica. La fine del boom diventa celebre come “la congiuntura”, ma in realtà sono finiti i sogni e le illusioni. E anche la rivalità tra i due scooter. La Lambretta, che ha rappresentato lo spirito della Milano industriale che aveva guidato l’Italia alla rinascita, quasi per una fatalità va in crisi insieme alle speranze del “miracolo economico”, non avendo più un futuro da interpretare. Negli anni Settanta in Italia non si sogna più, troppe speranze sono andate deluse e un Paese moderno, per molti, non è ancora nato. 
Una rivalità, quella tra Lambretta e Vespa, che ha comunque spinto due aziende a evolversi, migliorarsi, studiando sempre soluzioni innovative su ogni prodotto. Un progetto, quello dello scooter, totalmente Made in Italy, che ha motorizzato non solo l’Italia ma buona parte del mondo. E che, ancora oggi, resta uno dei fiori all’occhiello della storia industriale del nostro Paese.

L'ALTERNATIVA GALLETTO
Nel 1950 arriva il Galletto, della Moto Guzzi. Riprende i canoni dello scooter, ma rispetto a Vespa e Lambretta presenta la variente delle ruote alte. Telaio esteso e protettivo, ruota  di scorta verticale, motore a cilindro orizzontale: fu un successo.

SUA MAESTA' LA 600
Negli anni in cui sulle strade imperversavano Vespa e Lambretta, una delle vetture simbolo era la Fiat 600. Venne prodotta dal '55 al '69 ed ebbe uno strabiliante successo di vendite. Sarebbe stata poi sostituita dall'altrettanto mitica 850.
 

L'EVOLUZIONE DEL CASCO
Negli anni Cinquanta, i caschi destinati a garantire la sicurezza dei motociclisti erano in piena evoluzione anche se poco utilizzati. Ma già in precedenza non erano oggetti ignoti: nelle competizioni, in Italia, il casco era stato reso obbligatorio dal 1922. 

 

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